“Quando si dice memoria, si pensa a Pico della Mirandola. E si crede alla fortuna, che gli aveva regalato un cervello speciale. E si sbaglia, perché Pico sarà anche stato particolarmente dotato, ma usava una precisa tecnica per ricordare”. Queste le parole di Pierluigi Odifreddi nella prefazione del libro La memoria emotivadel mnemonista Gianni Golfera, capace di temere a memoria la bellezza di 261 libri e di saper ricordare ogni parola in qualunque ordine.
Sembra una magia o un talento fuori del comune che solo pochi eletti posseggono. In effetti memorie eccezionali non sono così diffuse, tanto è vero che si tende ad evidenziare singoli casi di personaggi che hanno segnato la storia, a cui oggi si aggiunge, appunto, Golfera. Il suo caso è singolare in quanto padre e nonno avevano doti eccezionali di memoria, il che fa supporre una qualche modalità genetica responsabile dei risultati da lui prodotti. In realtà il contesto famigliare è stato lo stimolo che l’ha spronato ad approfondire le tecniche mentali sino ad approdare a Giordano Bruno, che aveva elaborato un metodo per sviluppare la memoria. Golfera ha copiato il modello, l’ha sperimentato con successo e poi l’ha rivisitato per renderlo più semplice e applicabile, diventando un istruttore di tecniche mentali per potenziare la memoria.
Studiato al San Raffaele prima dal prof. Antonio Malgaroli (a sinistra nella foto con Golfera) e poi dall’équipe del neurologo e neuroscienziato Stefano Cappa (che affidò i test su Gianni alla neuropsicologa Paola Ortelli), Golfera ha dato prove oggettive delle sue facoltà anche davanti ad un grande pubblico. Manuela Pompas – che l’ha a suo tempo intervistato e organizzato una serie di esperimenti insieme a degli esperti, riferisce di esperienze paranormali cospicue, quali la visione della nonna deceduta, apporti, materializzazioni, visione a distanza, insomma una fenomenologia ampia che fa pensare a doti ESP di rilievo.
I vari metodi di immagazzinamento
Tuttavia, come detto, le performance mnemoniche non sono direttamente legate a talenti specifici, che probabilmente pur ci sono, bensì a tecniche di memorizzazione apprese ed applicate con costanza. Questo è un campo dove si sono avvicendate diverse figure che proponevano metodi di “immagazzinamento” dei dati utili a favorire il ricordo e soprattutto al loro ritrovamento nella coscienza.
Ricordo tra gli altri il metodo Borg che ho personalmente seguito e che mi ha permesso di sviluppare una buona memorizzazione dei dati, purché mi ci dedicassi con costanza. Per un certo tempo ho anche tenuto corsi, insieme con il dr. Alberto Sprega, soprattutto per medici (sponsorizzato da Bayer) in cui in poche ore ottenevamo risultati eccellenti di memorizzazione di informazioni generiche.
Ricordo che dopo tre sabati passati a formare i medici avevo in mente 250 nomi casuali che erano l’oggetto di un esercizio praticato in aula e potevo dirli sia in sequenza o all’incontrario o ricordare la posizione relativa di ognuno.
Rispetto ai mnemonisti come Golfera è ben poca cosa, tuttavia dimostra che utilizzare il cervello (la mente) secondo un metodo in modo sistematico si potenziano le sue capacità. Il trucco è basato sull’attenzione e sul lavoro di associazione tra il dato da ricordare e il senso emotivo che gli si vuole assegnare per renderlo appunto memorabile.
Cicerone diceva che parlava a braccio nelle sue orazioni in Senato, ma preparava il discorso appendendo cappelli virtuali sulle statue che conducevano al Senato, così quando arrivava il discorso era già formulato nella sua mente secondo una sequenza precisa. Quindi un luogo dove mettere il dato e un accoppiamento emotivo significativo.
Due organi responsabili della memoria
Il Prof. Malgaroli faceva riferimento a due organi del cervello responsabili della memoria: l’amigdala per i contenuti emotivi e l’ippocampo per la parola, lavorando la prima nell’inconscio e il secondo sulla conoscenza razionale.
Oggi, grazie alle ricerche più recenti sul cervello, con la Risonanza Magnetica Funzionale, la PET, il Neuroimaging, si arriva a conoscere qualcosa di più sui processi sottesi alla memoria e al suo funzionamento. Ad esempio gli studi condotti sulle fasi iniziali dell’Alzheimer da Susumu Tonegawa dimostrano che la perdita di memoria non è dovuta a problemi di codifica della traccia mnestica (engramma), bensì dall’incapacità di richiamare quel dato. Con la tecnica dell’optogenetica ha scoperto che la riduzione delle sinapsi in una parte dell’ippocampo produce amnesia e riattivandole si ripresentano i ricordi, sebbene esistano interferenze dovute alla difficoltà di discriminare fra cellule che codificano i diversi ricordi.
È evidente che le tecniche mentali favoriscono invece un legame tra parola e emozione che permette di rintracciare nella memoria le informazioni stivate. Neuroscienziati del Bard College di New York e dell’Università di Cambridge hanno evidenziato come l’allontanamento dei ricordi di eventi passati produce la contemporanea perdita di memoria di altri fatti vicini nel tempo, quindi voler dimenticare episodi della vita può avere successo, ma trascina anche altre esperienze che vengono perse dalla coscienza. Con la Risonanza magnetica hanno inoltre dimostrato che l’amnesia era correlata con una ridotta attività dell’ippocampo e della corteccia prefrontale anteriore.
Altri ricercatori hanno confermato che la memoria rievocativa è funzione della dimensione di parti precise dell’ippocampo. Proppenk con le tecniche di Neuroimaging su soggetti sani ha dimostrato che la parte posteriore dell’ippocampo più sviluppata (rispetto soprattutto alla parte anteriore) favorisce la memoria, come se fosse un muscolo ben allenato e dunque ingrossato: il che fa pensare che le tecniche mnemoniche altro non fanno che stimolare continuamente quella parte del cervello che tenderà a rinforzarsi e a dare prestazioni più elevate.
Memoria e neuroscienze
I ricercatori hanno anche rilevato che uno stimolo viene codificato da un certo gruppo di neuroni e che stimoli successivi a breve distanza di tempo attivano gli stessi neuroni; quindi una sequenza di stimoli può essere richiamata più facilmente quando sono stati indotti in tempi brevi, mentre stimoli a distanze più ampie devono comunque attivare gruppi di neuroni diversi. Anche qui la riflessione può essere che quando amigdala e ippocampo ricevono input sensoriali legati fra loro (un ricordo tira l’altro) viene facilitata la rievocazione.
Le tecniche mentali hanno pertanto un correlato neurofisiologico molto preciso. Josselin ha scoperto che l’amigdala nell’immagazzinare i ricordi eccita un gruppo di neuroni che rimangono attivi per un paio d’ore e poi iniziano a calare e dopo circa 6 ore lasciano spazio ad altri gruppi di neuroni su altri dati da immagazzinare; tuttavia stimolando i neuroni del primo engramma e di un altro a distanza di 24 ore, in concomitanza, richiamando l’uno si richiamava anche l’altro. In questo modo la fusione dei ricordi avviene anche se originariamente separata. Si potrebbe dunque dire che le tecniche mentali, con l’allenamento costante, stimolano gruppi di neuroni in modo da fondere i ricordi e renderli indimenticabili o se si preferisce automaticamente interconnessi. Tanto è vero che se si cerca, sempre con tecniche di optogenetica (segnale luminoso trasmesso attraverso una fibra ottica impiantata nel cervello), di separare i ricordi di due eventi avvenuti entra le 6 ore, si ha la compromissione della seconda memoria, dimostrando che sono necessariamente connesse.
Quali conseguenze derivano dalle ultime ricerche sulla memoria?
Innanzitutto è certo che ogni evento mentale ha un suo correlato neurofisiologico; in secondo luogo che gli stimoli, purché significativi, eccitano dati gruppi di neuroni che funzionano accoppiati ad esperienze diverse, ma vicine nel tempo; infine che l’associazione emotiva (grado di attenzione allo stimolo e sensazione emotiva correlata) rendono i ricordi meglio memorabili, dando così ragione alle tecniche mnemoniche sviluppate da Pico Della Mirandola, da Gianni Golfera o da altri eccezionali mnemonisti.
Infine, possiamo iniziare a pensare che gli esperimenti sulle Ricerche Psichiche a caccia di prove dell’ESP potrebbero essere strutturati tenendo conto del doppio fattore (parola ed emozione – amigdala e ippocampo) allenando i sensitivi a “memorizzare” le esperienze positive per continuare a produrle superando il ben noto effetto declino nelle prove contro il caso.
Per saperne di più:
Matteo Salvo. Il segreto di una memoria prodigiosa, Gribaudo ed.
Gianni Golfera. La memoria emotiva. Sperling & Kupfer
Pierangelo Garzia, Gianni Golfera, Edoardo Rosati. Il grande libro della memoria. Sperling & Kupfer
Un articolo sulla memoria di Pierangelo Garzia: www.karmanews.it/382/golfera-sulla-memoria-e-giordano-bruno/