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Summary
Magic numbers

Two questions are focused: is the statical one’s a good method in some ESP experiments ?
How many trials should one perform to satisfy a sceptic criterion ?
It is not easy to answer to these questions (maybe it is not even possible).
Anyway, the authors try to find a way out suggesting an empirical test based on frequentist probability.
 
 

Immaginiamo un tranquillo signore che (un po’ per gioco, un po’ per noia) decida di tentare un esperimento con le carte di Zener. Il tale mischia le carte, le smazza, quindi ne distribuisce cinque - ovviamente coperte - sul tavolo.
Dopo aver segnato su un foglio di carta le sue previsioni per quelle cinque carte, controlla il risultato, quindi reinserisce le carte nel mazzo, rimescola, smazza di nuovo e ripete il tutto per altre quattro volte, ottenendo i seguenti risultati:
 

N° prova Risp. corrette Risp. Errate
1 1 4
2 3 2
3 0 5
4 0 5
5 1 4
Totali 5 20
 
 

Il signore in questione (chiamiamolo X) non ha ottenuto alcun risultato statisticamente valido rispetto alla possibilità che il risultato ottenuto sia dovuto al caso. Infatti, le leggi della probabilità indicano che cinque carte individuate correttamente su venticinque sono proprio quelle che avrebbe dovuto indovinare per caso.
Il giorno successivo X decide di riprovare, e nelle prime due prove indovina tutte e dieci le carte. Un po’ emozionato, si ferma e valuta il risultato da un punto di vista statistico, scoprendo che la probabilità che ciò sia dovuto al caso è di circa uno su mille. Passa un altro giorno, e il signor X ci riprova, ottenendo una serie impressionante di fallimenti: nessuna carta indovinata in otto prove. Il risultato è talmente deludente che X decide di sfogarsi con un amico, il quale lo sorprende dicendogli: «Ma come, è un risultato straordinario: nessun centro su quaranta carte sfida ogni logica di probabilità casuale !». In effetti, se non si considerano i valori totali, la sequenza delle ultime otto prove appare abbastanza improbabile; tuttavia, un osservatore scettico avrebbe sottolineato come, anzitutto, non indovinare nemmeno una carta su quaranta corrisponde proprio alla probabilità di indovinarne dieci su dieci; e inoltre come, tenendo conto di tutti i risultati ottenuti, il signor X abbia indovinato solo 15 carte su 75. E cioè precisamente 1/5 di quelle in gioco, il che non ha statisticamente alcunché di paranormale:

 

Prima di proseguire, chiedetevi: la prestazione del signor X ha avuto qualcosa di speciale, oppure no ?

L’aneddoto illustra un antico e sempre attuale problema, che già era stato sollevato, ad esempio, da Broad (1962) o da Spencer Brown  (1956), seppure in termini diversi: le ricerche che si servono della statistica non costituiscono una prova dell’esistenza di un fenomeno, ma eventualmente solo un’indicazione di una difformità rispetto alle “leggi” del caso, difformità passibile di interpretazioni diverse. Così lo scettico, di fronte a risultati improbabili, tendenzialmente presuppone un inganno (più o meno volontario) o, in mancanza di meglio, metterà in dubbio la validità del metodo statistico (che «[...] spinto ai limiti, non funziona più» ), salvo poi riabilitare il medesimo metodo quando si tratti di dimostrare che un imbroglio c’è stato . Dal canto suo, il fervente sostenitore dell’esistenza dell’ESP sembra portato a validare senza molte riserve ogni parvenza di fenomeno, eccedendo qua e là in creduloneria .
Tornando al nostro sig. X, il problema relativo alle sue prestazioni è riformulabile nei seguenti termini: dato per scontato che le condizioni sperimentali escludano la possibilità di un imbroglio (ovvero, per chi voglia prendere alla lettera Ryzl, potendo l’esperimento essere replicato anche da altri), quante prove con le carte è necessario eseguire perché si possa stabilire con sufficiente sicurezza se qualcosa di anormale succede ( o meno)? La risposta è una sola: se ci si vuole servire del metodo statistico, più se ne fanno, meglio è; ma, in accordo con i più scettici, è necessario tener conto di tutte le prove eseguite, e non solo di alcune sequenze interne. Ma il metodo statistico è valido o no? Il metodo statistico potrebbe non essere idoneo a differenziare un segnale imprevedibile, non costante, apparentemente non relato ad alcun parametro certo (mentre il fatto che il segnale sia “debole”, cioè, ad esempio, si tratti del riconoscimento “solo” di alcune carte in più rispetto alla media probabilistica, di per sé non sarebbe un ostacolo). È infatti impossibile distinguere un fenomeno che si comporta in modo (almeno così sembra) casuale da quello che è, né più né meno, il caso stesso: ritagliando a posteriori apposite sequenze interne diverrebbe possibile “dimostrare” tutto e il contrario di tutto.
Se, tuttavia, si trovasse una maggior costanza nel fenomeno, o si riuscisse ad identificare un chiaro segnale di inizio e di fine del medesimo, allora il metodo sarebbe perfettamente lecito. È da notare che la prima parte di quanto appena detto (maggior costanza del fenomeno) non richiede che il fenomeno sia stabile e perenne, ma solo costante quanto basta perché possa essere verificato sperimentalmente da osservatori diversi in separate sedi. Rimane aperta la questione di quante prove ciascun osservatore dovrebbe raccogliere perché i suoi dati risultino convincenti, cioè degni di ulteriore verifica da parte di altri. A questa domanda non è facile rispondere: un vero scettico potrà sempre argomentare che il numero di prove non è sufficiente, perché con + n prove, a suo dire, si sarebbe potuto dimostrare la semplice fortunosità della situazione, salvo poi aggiungere che dopo nx  prove il lavoro è da buttare perché... sui grandi numeri non vale più (!). Per cercare di risolvere questa situazione di stallo si potrebbe tentare una prova empirica utilizzando un computer per andare alla ricerca della probabilità a posteriori  di una procedura che non abbia nulla di paranormale. In un secondo tempo si potrebbe poi confrontare con essa i risultati ottenuti con una procedura più simile a quella adottata negli esperimenti con soggetti umani, ma sempre casuale. Infine, il confronto andrebbe eseguito con i dati che sembrano evidenziare la presenza di ESP nelle persone. Si tratterebbe cioè di creare un software che simuli un mazzo di carte Zener, le mescoli, le disponga (coperte se si vuole, ma in questa prima parte non farebbe alcuna differenza) sullo schermo, quindi applichi una e una sola sequenza fissa di soluzione (in prima posizione sempre un cerchio, in seconda sempre un quadrato, ecc.) per tutti i tentativi, registrando i risultati ottenuti (positivi e negativi). Tale procedura dovrebbe consentire il rilevamento della pura casualità. In questo modo risulterebbe possibile effettuare in poco tempo un numero di prove elevatissimo, e sarebbe possibile - a patto che il randomizzatore delle carte sia progettato bene, e cioè che sia in grado di fornire una procedura tanto casuale quanto quella utilizzata finora negli esperimenti con le carte di Zener - calcolare a posteriori quante carte effettivamente si “azzeccano” per caso con n prove. Sarebbe inoltre possibile verificare il numero di sequenze “curiose”, come ad esempio il fatto di ottenere un numero di centri superiore alla media in una o più serie di cento o mille carte consecutive supponiamo - un milione di tentativi. Ciò fornirebbe una prima risposta alla domanda relativa al numero minimo di prove da effettuare per ottenere risultati convincenti: tante quante basta per avere un buon margine di certezza di essere al di fuori di un “normale” ciclo fortunato. Successivamente, la sequenza fissa andrebbe sostituita con una procedura più simile a quella utilizzata da un essere umano in condizioni analoghe. Verosimilmente, un essere umano tende ad avere delle sequenze preferite, ma non fisse (cioè una modalità di scelta preferenziale ma non esclusiva). Si tratterebbe cioè di analizzare il numero di successi ottenibili confrontando una sequenza casuale con una seconda sequenza semi-casuale, ovvero ottenuta con la rotazione di un certo numero di sequenze fisse, di cui alcune più frequenti delle altre. Questa procedura è utile per tentare di verificare la possibilità che le cose cambino quando l’azione di indovinare diventi più complessa.
È chiaro che anche adottando questi sistemi non si raggiungerebbe nulla di definitivo, ma si potrebbe tuttavia ottenere un ulteriore sostegno alla validità dei metodi applicati, in quanto si andrebbe a vedere empiricamente di quanto le probabilità a priori si discostano da quelle a posteriori. Si potrebbe quindi osservare se, come sostiene la legge dei grandi numeri, le due probabilità tendono a somigliarsi al crescere dei tentativi (e di quanto) o se invece accade che il modello statistico «spinto ai limiti, non vale più».
Così, il nostro sig. X potrebbe decidere con un maggior grado di certezza, e forse anche in tempi più brevi, se le sue prossime prestazioni rientrino o meno negli scherzi del caso. .
 
 

Bibliografia:

P. Angela, Viaggio nel mondo del paranormale, Garzanti, Milano 1990.
C.D. Broad, Lectures on psychical research, Routledge & Kegan Paul, London 1962.
A. Pedon, Statistica e ricerca psicologica, Cortina, Padova 1991.
G. Spercer Brown, The data of psychical research; a study of three hypoteses (in Ciba Foundation, Extrasensory Perception, Churchill, London 1956).
M. Ryzl, Manuale di Parapsicologia, Ed. Mediterranee, Roma, 1989.



 

 

 

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