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Giorgio Samorini
L'iniziazione alla religione buiti di Giorgio Samorini

L'iniziazione alla religione buiti di Giorgio Samorini

La religione Buiti del Gabon , nella quale viene utilizzata la pianta allucinogena Tabernanthe iboga Baill. (Apocynaceae), continua a sorprendermi; pur non trattandosi di una nuova scoperta (il Buiti ha più di 150 anni di vita ed è stato oggetto di attento studio antropologico da parte di alcuni autori), si è trattato di una forte scoperta personale. A questo proposito, i buitisti affermano che chiunque entri nella loro comunità, sottoponendosi al rito dell'iniziazione, ‘scopre’ qual-cosa: fa la più grande scoperta che avrebbe potuto fare nella sua vita.
Fra la popolazione Fang - la più numerosa del Gabon, appartenente al ceppo linguistico bantu  - i principali riti buitisti sono di due tipi:
1) le ngozé, o ‘messe’ buitiste, che vengono svolte di notte, per tre notti consecutive (dal giovedì al sabato), durante le quali i membri della comunità consumano una ‘modesta’ quantità di radice polverizzata d'iboga, abbandonandosi quindi a danze e canti sino al sopraggiungere dell'alba;
2) il rito dell'iniziazione, vissuto ogni qual volta un indivi-duo decida di entrare nella comunità religiosa. In questo caso, all'iniziando viene somministrata un'enorme quantità di iboga, pari a centinaia di dosi simili a quelle consumate durante le ngozé: una quantità che lo porta a uno stato di incoscienza di lunga durata (mediamente dai 2 ai 3 giorni e notti consecutivi), durante il quale la sua ‘anima’ effettua un ‘viaggio nell'al di là’, mentre il corpo rimane steso sul terreno - in uno stato di ‘coma’ -, sorvegliato dai membri della comunità. In base a quanto af-fermano i buitisti, durante la ‘grande visione’, l'iniziando con-tatta entità divine che lo illuminano, mostrandogli le ‘radici della vita’.
Nel mese di maggio del 1993, nel corso di un ulteriore viaggio in Gabon, ho avuto un contatto più approfondito con il Buiti, potendo partecipare alle ngozé dell'Annunciazione, a quelle dell'Assunzione , e sottoponendomi anche al rito di iniziazione, presso una comunità della setta Ndea Naridzanga  stanziata nei dintorni di Libreville, nella quale ero stato ospitato in un precedente viaggio per assistervi alle ngozé della Pa-squa. Per i buitisti, sarei il primo uomo bianco a essere iniziato alla setta Ndea Naridzanga;di rado, alcuni bianchi, per lo più francesi che vivono stabilmente in Gabon, hanno accettato di farsi iniziare in altre sette Buiti, in particolare nella setta Dis-sumba, la più diffusa e la più antica.
Nel presente articolo, espongo un breve resoconto del rito di iniziazione al quale sono stato sottoposto; verificata l'in-fluenza che questo rito, basato sull'induzione di un profondo stato modificato di coscienza, ha sulle personali sfere psichi-che, risulta difficile, se non impossibile, presentare una descri-zione oggettiva di diverse fasi di questa esperienza. Inoltre, non è possibile in così breve spazio offrire una completa de-scrizione dei numerosi riti che si sono susseguiti nel corso dei quattro giorni e delle quattro notti necessarie per lo svolgi-mento dell'intera cerimonia iniziatica.
Prima del tobe si (‘sedersi per terra’, così viene chiamata l'iniziazione nella lingua liturgica buitista, il pope na pope), l'iniziando deve seguire un'astinenza sessuale e alcolica per un periodo di almeno 20 giorni. Quindi, deve procurarsi una lunga serie di rifornimenti alimentari e di particolari oggetti, ch'egli presenterà come offerta obbligata (okandzo) alla comunità, e che verranno utilizzati nel corso del rito.
A ogni iniziazione di un nuovo membro, la comunità si presenta nel luogo stabilito per lo svolgimento del rito - un templio buiti (abeñ) -, e sin dal giorno prima il luogo viene ripulito e addobbato. Le comunità numerose dispongono di più templi, situati nei villaggi natali dei rispettivi gruppi familiari di cui è costituita. Per l'eccezionalità dell'evento - la prima iniziazione di un bianco - la mia comunità si presentò al completo (una quarantina di adulti e una ventina di bambini), scegliendo un villaggio isolato nella foresta, da tempo abbandonato e utilizzato solamente per queste occasioni.
Sin dalla sera prima dell'inizio del vero e proprio rito di iniziazione, tutti i membri della comunità consumano una ‘normale’ quantità di iboga, e continueranno a consumarne - preferibilmente di notte - sino all'ultimo giorno del rito; è impor-tante che tutti i pre-senti dispongano la loro mente in uno stato modificato di coscienza, poiché questo è il modo più adatto per ‘accompagnare’ il ‘grande viaggio’ dell'iniziando. Anche ai bambini viene data l'iboga; ai lattanti ne viene posta in bocca una quantità simbolica. Molti fra i presenti, in particolare i kombo - i sacerdoti del culto -, non dormiranno volutamente per tutto il corso dell'iniziazione.
A mezzanotte della notte precedente l'iniziazione, l'ini-ziando viene accompagnato al centro della sala principale del templio, mentre i membri della comunità si dispongono lungo le pareti. Con una particolare cerimonia, il ‘padre’ e la ‘madre’ dell'iniziando - due persone ch'egli ha scelto alcuni giorni prima fra i membri della comunità - lo presentano all'assemblea. Se-guono alcune domande rivolte all'iniziando e le sue risposte pubbliche, riguardanti le motivazioni personali che lo hanno spinto a desiderare l'iniziazione. Se queste motivazioni vengono considerate sufficienti, il nima - il capo religioso della comunità - sentenzia l'accettazione del nuovo membro, ed esorta i membri della comunità allo sforzo e ai sacrifici collettivi richiesti al caso. Da quel momento l'iniziando è a loro disposizione: non gli è concesso muoversi di sua volontà, e dovrà eseguire tutto ciò che gli verrà ordinato di fare.
Al mattino seguente, l'iniziando, svestito, viene coperto con un pezzo di stoffa bianca annodata ai fianchi, a guisa di fascia per neonati (l'iniziando si sta predisponendo a ‘nascere’ a nuova vita), e viene quindi accompagnato nella foresta. Qui, appartatosi con un membro della comunità, egli confessa i suoi peccati: la confessione riguarda tutta la propria vita, ed è indi-rizzata agli spiriti della foresta. Questa azione catartica, libera-trice dei sensi di colpa personali, è tenuta in grande conside-razione fra i buitisti: non vi può essere una buona ‘visione’ senza una buona confessione; anzi, nascondere volutamente dei peccati in quell'occasione è considerato pericoloso e, per alcuni casi, fatale. In seguito, l'iniziando viene portato, attra-verso un intricato percorso nella foresta, presso differenti spe-cie di alberi, scelti dagli spiriti come loro dimora permanente. Sotto ciascun albero, l'iniziando viene ‘presentato’ agli spiriti con un cerimoniale accompagnato da recite.
A mezzogiorno inizia la lunga fase dell'assunzione dell'i-boga. L'iniziando viene fatto sedere su uno sgabello, carico di particolari valenze simboliche, in una stanza di una casa del villaggio posta vicino al templio. La posizione assunta dall'iniziando, con gli avambracci appoggiati sulle gambe, tenendo le mani ‘a penzoloni’, non dovrà più essere modificata per tutto il tempo dell'assunzione dell'iboga. Ogni qual volta egli modifica, anche solo di poco, la posizione originale del suo corpo, qual-uno provvede a riposizionarlo. Anche lo sguardo dell'iniziando viene fatto mantenere fisso, dicendogli di guardare sempre il medesimo punto del terreno. L'unico movimento che gli è concesso di fare, è quello di volgere periodicamente la testa in alto, aprire la bocca, permettendo al kombo di introdurvi con un cucchiaino una certa quantità di iboga, richiuderla, e tornare nella posizione originale. Altro movimento concesso: quello relativo alla deglutizione del bolo d'iboga.
Attorno all'iniziando si avvicenda un gruppo di persone, tutti i kombo e alcune donne, una specie di ‘équipe’ che ‘lavora’ su di lui, accompagnandolo con perizia e premura verso il momento della sua ‘morte-rinascita’. Ciascuno di essi esegue uno specifico compito: v'è chi dà l'iboga all'iniziando, imboccandolo col cucchiaino, e lasciandogli il giusto tempo per la deglutizione; un altro ha il compito di controllare periodicamente gli occhi e le pupille dell'iniziando, dicendogli di muoverli nelle quattro direzioni; un altro tocca a più riprese e in diversi punti il suo corpo, per rendersi conto della sua temperatura e seguire così il lento processo di raffreddamento del corpo, provocato dall'iboga. La consumazione dell'iboga si svolge su un arco di tempo di 7-20 ore - tempo variabile per ciascun individuo -, un cucchiaino dopo l'altro, centinaia di cucchiaini (la quantità totale corrisponde ad alcuni ettogrammi di polvere di radice di iboga). Ogni tanto, l'iniziando vomita, e i suoi vomiti vengono raccolti e mantenuti separati su foglie di banano, e attentamente esaminati; la mia ‘madre’ d'iniziazione, ogni qualvolta vomitavo, assaggiava un po' di vomito, allo scopo di comprendere come si stava comportando l'iboga nel mio stomaco.
L'iboga ha un effetto anestetico, che presto si percepisce nel palato; è di sapore amaro - viene denominata ‘fiele di Dio’ -, ma dopo qualche tempo, quando il palato e la gola sono ben anestetizzati, non lo si percepisce più. La lunga assunzione dell'iboga porta a un lento raffreddamento del corpo, a partire dalle estremità, con un progressivo rallentamento del battito cardiaco. I primi effetti psichici sopraggiungono 40-50 minuti dopo l'inizio dell'assunzione della radice, e si rafforzano sempre più, portando l'iniziando verso stati sempre più modificati della sua coscienza. I buitisti mi riferirono che il tempo di assunzione dell'iboga impiegato nel mio caso è stato di 12 ore; durante questo tempo, ho sperimentato un forte ‘viaggio’ psichedelico; eppure, il vero ‘viaggio’ doveva ancora iniziare. All'iniziando viene data iboga fino al momento in cui perde conoscenza; per potere veramente andare nell'‘al di là’, esso deve perdere conoscenza, e l'entrata in questo stato viene verificata dal nima perforando con un ago, e fino ad una certa profondità, alcuni punti del corpo dell'iniziando. Se questi non reagisce agli stimoli dolorosi, l'assunzione dell'iboga viene considerata terminata. Il corpo dell'iniziando viene delicatamente disteso a terra sopra a una stuoia, mantenuto in una posizione particolare, e sorvegliato a vista per tutto il tempo del ‘grande viaggio’. Due donne anziane muovono periodicamente il corpo dell'iniziando - che tende a irrigidirsi -, piegando gli arti e facendo ‘scroccare’ le articolazioni delle dita, delle mani, dei polsi e del collo. Ogni tanto, durante il giorno, il corpo dell'iniziando viene portato all'esterno, e lasciato per qualche tempo sotto i raggi del potente sole equatoriale, onde evitarne l'eccessivo raffreddamento. In effetti, la sensazione del freddo - non quella di 'avere freddo', bensì quella di 'capire che fa freddo' - pervade tutta l'esperienza iniziatica, e caratterizza in un certo qual modo anche la ‘grande visione’, pur nella sua maestosa luminosità.
Vissuto ‘dal suo interno’, l'intero processo mi è apparso, nel momento in cui lo stavo vivendo, ben logico, quasi ‘ovvio’, e, soprattutto, ‘naturale’, sebbene piuttosto pericoloso: mediante l'assunzione della forte dose di iboga - per la quale esiste una dose letale specifica per ciascun soggetto -, l'iniziando viene portato realmente vicino al suo punto di morte, poiché è proprio (e solo) in quella condizione che egli può 'vedere' e 'passare nell'altro mondo'. Ora credo di comprendere meglio il motivo per cui, sebbene molto raramente, si verificano casi di decesso dell'iniziando. Un motivo di forte preoccupazione per i kombo e per il nima, riguarda la quantità di iboga da somministrare all'iniziando: essi si devono fermare nel giusto momento (forse, appena un po' prima di quella che sarebbe la dose letale specifica per ciascun individuo).
Il momento in cui l'iniziando perde conoscenza corrisponde ad una vera e propria ‘uscita dal corpo’, o per lo meno, io l'ho vissuta come tale. Per me si è trattato di una tipica OBE (Out of Body Experience): dopo il lungo 'viaggio' psichedelico svoltosi durante l'assunzione dell'iboga, e caratterizzato da allucinazioni visive, sonore, tattili, e dalla comparsa di fenomeni paranormali quali la visione a tutto campo (a 360°), ho vissuto il momento della perdita di conoscenza 'vedendo' nitidamente ‘dall'alto’ il mio corpo, attorno al quale si affaccendavano i kombo, mentre lo rimuovevano con premura dallo sgabello e lo disponevano a terra. Osservavo questa scena sempre più dall'alto, sempre più da lontano, fino a quando, ‘volgendo lo sguardo’ verso l'alto, mi sono sentito risucchiare da un vortice di luce, una specie di ‘ascensore’ velocissimo, quasi istanta-neo. Da quel momento, non ho più sperimentato 'allucinazioni', bensì una pura 'visione', il cui ricordo è tuttora ben impresso nella mia memoria. I buitisti affermano che la ‘grande visione’ non la si scorda più per il resto della vita.
Per tutto il tempo in cui dura il suo stato di incoscienza, i membri della comunità ‘aiutano’ l'iniziando compiendo numerosi riti, accompagnati da particolari danze e musiche.
La fine del ‘viaggio nell'al di là’ è segnata dalla ripresa di coscienza dell'iniziando, favorita (per i buitisti direttamente pro-vocata) dal suono dello strumento musicale per eccellenza: l'arpa sacra (ngombi). Per i buitisti l'‘uscita’ e il ‘rientro’ nel corpo dell'anima dell'iniziando si verificano - possono solo veri-ficarsi - mediante il suono di due strumenti: l'arco sonoro (mongongo) e l'arpa. Questi due strumenti, vere e proprie ‘chiavi’ sensoriali svolgenti funzioni opposte, non possono es-sere mai suonate assieme, né nei contesti rituali, né in quelli riservati all'apprendimento del loro uso (non vengono mai suo-nati in situazioni profane, ovvero al di fuori degli effetti dell'i-boga). La maggior parte dei riti buitisti è strutturata in base alla polarità funzionale e simbolica di questi due strumenti. Il rap-porto fra musica e stati modificati di coscienza è qui ben mani-festo, e non solo nel suo aspetto simbolico; la sua efficacia viene soggettivamente vissuta da ogni iniziando. La mia per-sonale sensazione è quella di essermi trovato di fronte ad un caso di pura ‘magia musicale’.
Al ‘risveglio’ segue una lunga serie di riti di ringrazia-mento e propiziatori per il ‘nuovo nato’: all'iniziando, accompa-gnato (‘trascinato’) dalla musica dell'arpa, viene fatto ripercor-rere il tragitto nella foresta, con le dovute soste e cerimonie sotto ciascun albero sacro; segue il rito del battesimo, durante il quale l'iniziando viene fatto passare attraverso un'apertura a forma di vagina, ricavata da un fusto vegetale tagliato longitu-dinalmente e mantenuto teso nelle sue due parti verso l'esterno, il tutto al centro di un corso d'acqua. E ancora, pro-cessioni, danze col fuoco, travestimenti rituali, accompagnati da una sfrenata coreografia scenica e musicale; in questa fase vengono suonati anche i grandi tamburi, i quali rafforzano quel carattere tribale africano, che già pervade tutto il ciclo iniziatico. Si tratta della fase più dura e più difficile da sopportare. Il corpo, già stremato dal lungo periodo di incoscienza (di ‘coma’), viene sottoposto a ulteriori fatiche e sofferenze. La tendenza all'irrigidimento degli arti, in particolare quelli inferiori, perdurò in me per altre 25-30 ore dal momento del 'risveglio', complicando e caratterizzando i movimenti deambulatori.
L'atto finale dell'intero ciclo iniziatico è costituito da un dialogo privato fra i kombo e l'iniziando, durante il quale egli espone ciò che ha visto nella sua visione, rispondendo alle numerose e particolareggiate domande che gli vengono rivolte. Se i kombo ritengono che l'iniziando abbia ‘ben visto’, questi viene finalmente proclamato bandzi. Un pranzo e un lungo e profondo sonno riporteranno il neo-iniziato verso il suo normale stato d'esistenza terrena (in realtà, gli effetti dell'iniziazione si dissolsero completamente dal mio corpo e dalla mia mente solo dopo una settimana).
A circa un anno di distanza dalla mia iniziazione tornerò in Gabon, per sottopormi all'akore si (‘sollevarsi da terra’), un rito della durata di una sola notte che, secondo i buitisti, ha lo scopo di indurre il definitivo ricongiungimento dell'anima con il corpo dell'iniziato.
L'iniziazione buitista è dura, e non solo meravigliosa. E' questione di coraggio e di volontà di andare a ‘vedere’, e di es-sere anche disposti a morire pur di ‘vedere’. Ho avuto questo coraggio e questa volontà di andare a ‘vedere’, e anche per questo - poco importa delle oltre 500 punture dei più disparati insetti tropicali, delle bruciature sulla pelle volutamente causate dalle danze col fuoco eseguite sul mio corpo, o dei 5 kg di peso perduti durante i quattro giorni dell'iniziazione -, è stata una delle più affascinanti e costruttive esperienze della mia vita. Il lettore comprenderà se mi permetto di dire che sono fiero di essere ora un bandzi, ‘colui che ha già mangiato’, un ‘morto vivente’.
 

Summary:

THE INITIATION RITE TO THE BWITI RELIGION IN GABON
by Giorgio Samorini

The Author describes the initiation rite (tobe si) to the Bwiti, the African syncretic religion in which the entheogenic plant iboga (Tabernanthe iboga Baill.) is used, using, also, his personal initiatic experience lived by a Fang community which settled in the surroundings of Libreville (Gabon), and belonging to the Bwitist sect Ndea Naridzanga.
During the tobe si rite, to the novice a huge quantity of powdered root of iboga is administered (some hectograms.); he has to eat it slowly, in little amounts, distribuited in 8-20 hours. The novice has to eat iboga until he loses his con-sciousness. When this happens,  his ‘soul’ - according to the Bwitist beliefs - get separated from the body, and it experien-ces a long ‘trip into the other world’, through which it arrives “to the roots of the life”, and it communicates with divine entities. According to the occidental language and symbolism, it is a matter of a pure OBE. During this time, that usually lasts more than 60 hours, the body of the novice, apparently in a state of ‘coma’, is arranged on the ground and garded by the kombo, the Bwitist priests.
The visionary experience ends with the regaining of con-sciousness by part of the novice, encouraged by the song of a particular musical instrument (sometimes the novice does not awake, and die). A series of complex rites follows, to which the ‘new-born’ is submitted with the purpose to complete the ‘regaining’ process of his body, and the reintegration into the ordinary reality.



 

 

 

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