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Ignazio Licata
L'Arte della scienza.

 

Nell'opinione comune ci si aspetta che la scienza offra ricette universali, certezze matematiche. Oibò, non sembra essere così, parola di scienziato! Eccoci spiegata la scienza come arte della conoscenza ovvero i linguaggi scientifici non hanno nulla di intrinsecamente “oggettivo”. Una riflessione sulle caratteristiche cognitive dell'arte e della scienza che esplora i confini sottili fra oggetto e soggetto, rivelando alcuni aspetti cruciali dell' “arte della scienza”, intesa come “eresia del fare” contro ogni visione ideologica del “metodo”. L'articolo uscito in forma ridotta sul N°26 della rivista, compare qui nella sua forma integrale, corredata di tutte le immagini e biblio.

 

 

Abbiamo scoperto una strana impronta sulla spiaggia dell'ignoto.
Abbiamo escogitato profonde teorie,
l'una dopo l'altra, per spiegarne la provenienza.
Alla fine siamo riusciti a ricostruire la creatura
che aveva lasciato quell'impronta.
Ed ecco! E' la nostra impronta.
Sir Arthur S. Eddington.

 

 

 

 

Chi conosce? L'importanza di essere “osservatore”

 

Nell'attuale spettro dei saperi, e nella percezione comune, scienze ed arte vengono collocate ad estremi opposti delle nostre visioni del mondo. La scienza viene vista come il regno delle certezze “oggettive” e l'arte come il luogo della radicale singolarità soggettiva del sentire umano.

La scienza come puntuale applicazione del metodo, l'arte come pura creatività. Questa concezione ha sicuramente un aspetto significativo, perché si tratta di “giochi” diversi, ma se li esaminiamo proprio come “giochi della mente” in relazione alla costruzione di immagini del mondo, possiamo scoprire interessanti connessioni dal punto di vista delle strategie cognitive comuni, e soprattutto tentare di forzare la dicotomia e svelarne piuttosto i sottili confini frattali, rivelando la loro natura comune di “linguaggi” per comprendere il mondo. In particolare, è utile evitare ogni visione “ideologica” della scienza per riportarla al suo status naturale di artigianato metodologico che costruisce strumenti di lavoro su problemi specifici. L'altra visione è quella di una scienza a-storica, definita da un “metodo” universale con il quale decodifichiamo un “codice cosmico” inscritto in una natura che è “là fuori”, oggettiva ed immutabile, completamente indipendente dall'osservatore.


Questo “oggettivismo” naive è una delle ragioni per cui la scienza viene concepita come dispensatrice di “verità” assolute, con effetti devastanti per la cultura scientifica, in totale contrasto con quella complessa dinamica che la rende un' affascinante, critica, importante “eresia del fare”. Non bisogna infatti dimenticare che la scienza, come attività culturale consapevole ed autonoma, è nata circa 300 anni fa dopo una lunghissima preistoria, come capacità di intrecciare un dialogo tra le nostre strutture razionali e l'esperienza, in opposizione sostanziale al tessuto platonico e aristotelico che dominava il dibattito culturale al tempo di Galilei. L'importanza del “metodo”, primo tra tutti il divide et impera del riduzionismo, l'attititudine a scomporre un problema nei suoi aspetti costituenti ed un sistema in “unità elementari, ha suggerito che esistesse un metodo astratto ed iperuranico, una chiave universale con la quale affrontare un problema scientifico.

 

 

In realtà la scienza, non diversamente da ogni altra attività umana, costruisce di volta in volta i suoi strumenti. La cassetta metodologica degli attrezzi concettuali degli scienziati è sempre aperta e mutevole, ed ha un carattere adattativo, centrato sul problema, una situazione in cui la creatività gioca un ruolo fondamentale.

Per comprendere meglio la questione può essere suggestivo prendere le mosse non da un epistemologo ma da un artista. Vassilij Kandinskij, considerato il padre dell'arte astratta.

 

 

 



Composizione VII, 1913, Galleria Statale di Tret'jakov, Mosca.

 

 

Nel saggio “Lo spirituale nell'arte” (1911) - al di là dello “specifico” pittorico e delle risonanze teosofiche che il lettore moderno può sentire molto lontane - Kandinskij prende atto della “dissoluzione del soggetto” mettendo l'accento su quello che oggi chiameremmo piuttosto l'importanza del ruolo dell'osservatore e del suo “punto di vista”. L'arte - anche quella più apparentemente “figurativa”- non “rappresenta” il mondo, ma piuttosto lo denota tramite le scelte stilistiche peculiari di ogni artista: pur rifacendosi ai tradizionali temi religiosi, chi potrebbe mai confondere la plasticità e la fisicità del mondo di Masaccio con il senso geometrico dell'universo di Piero della Francesca? Semplificando, possiamo dire che Kandinskij pone l' “occhio della mente” al centro del rapporto tra l'osservatore e il mondo, proprio come gli antichi maestri della prospettiva avevano fornito un modello matematico della visione “fisiologica”. Ed è interessante notare che tutto questo avviene in anni in cui la relatività e la fisica quantistica cominciavano a porre in termini scientifici la questione metodologica del ruolo dell'osservatore.

Il problema sarà ripreso in modo più radicale dalla “seconda cibernetica” (
Norbert Wiener, Ludwig von BertalanffyHeinz von Foerster, Humberto Maturana, Francisco Varela) in relazione allo studio dei “sistemi complessi”, che sono - in un senso piuttosto tecnico nel quale non ci addentreremo in questa sede - sistemi che mostrano aspetti diversi secondo la “prospettiva” con cui vengono studiati e sfuggono perciò ad un'analisi meramente basata sui “mattoni costituenti” di tipo riduzionistico. Esempi ovvi di sistemi di questo tipo sono i sistemi viventi, ma sono ben noti anche in fisica dei sistemi collettivi- ad es. i superfluidi-, dove il comportamento globale del sistema non può essere colto in tutta la sua complessità semplicemente fissando la “lente” sul livello particellare.

 

Una prima conclusione provvisoria è dunque: noi vediamo il mondo attraverso il filtro cognitivo dei nostri modelli (culturali, concettuali, epistemologici, metodologici, formali).

 

 

Creatori di linguaggi

 

Consideriamo adesso una seconda “opera”:


Com'è noto si tratta di un “diagramma di Feynman”, dal nome del geniale fisico americano che costruì questa particolarissima “stenografia” dei processi d'interazione, il linguaggio fondamentale della più raffinata teoria fisica esistente, la teoria quantistica dei campi. Ognuno di questi grafi corrisponde ad una formula che diventa sempre più elaborata con il numero di vertici e linee.

 

 

                            
Richard Feynman ( 1918-1988) ed i suoi famosi diagrammi

 

Cosa possiamo dire dell'elegante forma del diagramma se lo confrontiamo, ad esempio, con la “composizione VII” di Kandinskij? Entrambi sono linguaggi simbolici, ma nonostante la raffinata simbologia delle forme e dei colori  elaborata dall'artista russo, l'aspetto soggettivo della recezione dell'opera e del suo significato è dominante, mentre il diagramma, pur con tutta la sua suggestione “visiva”, acquista un pieno significato condiviso all'interno della “sintassi” quantistica. I linguaggi scientifici fanno parte di una categoria che qui chiameremo dei “linguaggi vincolati”, in cui ogni termine della sintassi ha un preciso significato matematico in relazione ad una precisa disposizione sperimentale.


Ma come si crea il linguaggio vincolato delle teorie e dei modelli scientifici? Anche qui la soggettività dell'approccio individuale gioca un ruolo fondamentale. Nel 1926-27 si affermarono ben tre forme di meccanica quantistica: quella estremamente astratta e generale degli operatori di Dirac, quella “matriciale” di Heisenberg, Jordan e Pauli e quella “ondulatoria” di Schrödinger. Pur riferendosi allo stesso oggetto fisico, le tre formulazioni erano estremamente diverse per ispirazione epistemologica e stile. Heisenberg trovava la meccanica ondulatoria di Schrödinger “ripugnante”, mentre Schrödinger riteneva il lavoro di Heisenberg e Co. “deprimente”. Il punto essenziale è che i due scienziati avevano posizioni diverse sulla questione del “realismo” in fisica, ossia sulla possibilità di descrivere i fenomeni quantistici dentro una tradizionale “cornice” spazio-temporale. Heisenberg riteneva che possiamo descrivere fisicamente solo ciò che possiamo misurare, per cui il concetto di “osservabile” è l'unico centrale nella sua formulazione, e vengono espulsi tutti i concetti “classici” come quello di “traiettoria”, mentre per Schrödinger la funzione d'onda aveva non soltanto un valore probabilistico ma una sorta di esistenza fisica come “guida” degli oggetti quantistici.

Una situazione analoga si presenterà nel dopoguerra, con la nascita di tre forme di elettrodinamica quantistica: quella di Feynman, un' elegante formulazione variazionale che porta direttamente ai celebri diagrammi, quella di Julian Schwinger, estremamente elaborata dal punto di vista matematico, e quella di Sin Itiro Tomonaga, matematicamente essenziale ed agile e sviluppata su un pugno essenziale di intuizioni fisiche. Sarà Freeman Dyson a dimostrare la sostanziale equivalenza delle tre teorie. Sia nel caso della fisica quantistica che della teoria dei campi, abbiamo uno stesso background degli scienziati ed una serie di problemi comuni, ma le formulazioni teoriche, pur rispondendo alle stesse domande, portano il segno inconfondibile dello “stile” di ogni scienziato. Va anche notato che le diverse connotazioni stilistiche portano a destini diversi per ogni teoria. Quella di Feynman è stata sicuramente la più fortunata, non soltanto per l' “usabilità” del formalismo, ma anche perché l'idea che il comportamento di un oggetto quantistico è descritto da un'infinita “somma delle storie” riesce a dare una spiegazione profonda e convincente delle “stranezze” quantistiche ed è in sintonia con le recenti interpretazioni “a molti mondi”. Anche le sintassi dei linguaggi “vincolati” possono avere una storia interpretativa non meno complessa ed affascinante di quelli artistici!

Quello che è importante notare è che i linguaggi scientifici non hanno nulla di intrinsecamente “oggettivo”, ma sono piuttosto “inter-soggettivi”, sono cioè strumenti condivisi dalla comunità per affrontare certi range d'esperienza. Ed ogni “linguaggio vincolato” della scienza nasce non tanto dall'applicazione di una “ricetta universale” ma porta il segno inconfondibile delle scelte culturali, concettuali e creative di chi lo ha costruito. Questo è il significato fondamentale della celebre frase di Einstein : “le teorie sono sotto-derminate dai dati, libere creazioni della mente umana”, a cui fa eco la bella intuizione di J. Dryden, poeta inglese del XVII secolo, che definì la musica “scienza dei suoni armonici” e la scienza “arte costruita su principi”. Potremmo dire perciò che la scienza è l'arte di “armonizzare” i dati in modelli matematici e teorie, organizzando tramite linguaggi simbolici l'informazione “estratta”  dall'inesauribile sorgente dell'esperienza.

 

Immersi nel mondo: apertura logica e modelli


E' ben noto il teorema di incompletezza sintattica di Kurt Gödel , che ricorderemo qui brevemente. Esso afferma, più o meno, che se proviamo a “zippare” in un unico sistema di proposizioni finito- gli assiomi, che possiamo pensare come un programma che “girando produce tutte le proposizioni del sistema formale- un qualunque ramo della matematica, per poi ricavarla da  questi applicando le regole deduttive dell'inferenza logica, falliremo. Se proviamo infatti ad organizzare la conoscenza matematica in questo modo, qualcosa resterà sempre fuori dal sistema assiomatico scelto, comunque sia costruito.

 


 Gödel e Einstein a Princeton

 

 

Questo teorema ci rivela alcuni aspetti profondi della matematica. Diversamente dagli scacchi, ad esempio, la “scacchiera” del sapere matematico non è finita, e somiglia piuttosto al pianoforte infinito del protagonista di “Novecento” di A. Baricco, o ai labirinti ed alle biblioteche di Borges. E' un albero i cui rami crescono continuamente e si intrecciano tra loro, “zippando” perderemo sempre qualcosa. Utilizzando il lavoro di Gregory Chaitin, possiamo dire che la matematica è un sistema aperto; i matematici non sono meri manipolatori formali di simboli ma danno una “semantica” alle loro strutture, ed è quest'aspetto vitale del fare matematica che la rende così difficile da “comprimere” in un unico, enorme algoritmo. E' questo il caso del famoso teorema di Fermat: nessun computer , per quanto potente e con tempo infinito, avrebbe potuto risolvere questa “banale” proposizione. La dimostrazione si basa infatti sull'intuizione di un gioco di profondi e sotterranei legami tra aree raffinate ed apparentemente lontane della matematica, come i gruppi modulari e le equazioni ellittiche.


La teoria dell'apertura logica è un'originale applicazione del teorema di Gödel ai modelli fisici, ideata nei suoi aspetti fondamentali da Heinz Von Foerster. Essa mostra come sistemi fisici sufficientemente complessi, logicamente aperti- ossia: che scambiano e ristrutturano continuamente informazione con l'ambiente, manifestando rotture di simmetria, emergenze e produzione di “novità” - non possono essere descritte da un modello unico. Ogni modello è dunque un filtro cognitivo attraverso il quale noi “vediamo” e “comprendiamo” alcune cose e ne perdiamo altre.


Un caso esemplare è lo studio dei processi cognitivi. L'intelligenza artificiale e la logica “chiusa” del computer  danno buona prova di sè nelle questioni che riguardano i sistemi simbolici, come gli aspetti computazionali del linguaggio, le inferenze logiche ed i sistemi esperti, ma se rivolgiamo la nostra attenzione ai compiti percettivi e adattativi, è necessario ricorrere ai più flessibili sistemi sub-simbolici, come le varie classi di reti neurali. E' stato dimostrato che i casi in cui un sistema simbolico ed un sistema sub-simbolico possono essere messi in corrispondenza sono ben pochi e banali, in generale si tratta di modelli diversi e complementari. Un sistema aperto è dunque un sistema che ha una forte interconnessione con il mondo esterno e la cui dinamica è co-evolutiva con quella dell'ambiente; non può essere dunque studiato con un approccio riduzionistico.

Del resto, questa “complementarietà” tra modelli trova una corrispondenza nel sistema percettivo, come mostra la famosa litografia di Escher “angeli e diavoli”:



Maurits Cornelis Escher , Limite del cerchio IV “Angeli e Diavoli”

 

 

A seconda della “scelta” dell'osservatore, si vedrà prima un pattern e poi un altro. Un esempio che ci rimanda invece più direttamente alla costruzione di modelli scientifici è il problema dei quadrati di Bongard, dal nome dello psicologo e cibernetico sovietico Mikhail M. Bongard.

 

 

 

Nella tavola riportata il problema consiste nello scoprire cos' hanno in comune le figure dei diversi  quadrati, e se esiste una “teoria del tutto”, ossia una regola che copre tutti i casi. La risposta dipende dall'approccio adottato. Se utilizzo le nozioni di “angolo” e “curvatura” ottengo due classi distinte, se invece centro la “spiegazione” sulla nozione di “arrotolato intorno ad un punto” tutti i quadrati rientrano in un'unica classe (cosa che ci dovrebbe mettere in guardia contro le teorie troppo generali ed ambiziose, che possono spiegare “tutto” al prezzo di perdere per strada le cose più interessanti!). Ed il mondo è ben più complesso delle 100 tavole dei problemi di Bongard! E' possibile dunque avere una “teoria del tutto” ad un livello- come la teoria delle superstringhe-, che non è in grado di dirci nulla su altri livelli. E questi non sono “lì”, ma sono selezionati dagli strumenti costruiti per indagare la natura.

Infine, un'altra interessante filiazione del teorema di Gödel è quella proposta dal filosofo tedesco Thomas Breuer: nessuna teoria fisica, classica o quantistica, può descrivere ogni singolo stato di un sistema. In altre parole, una teoria fisica, in modo non dissimile dalle scelte sui quadrati di Bongard, è soltanto un'organizzazione centrata su certe classi di comportamenti che tende alla coerenza ed alla completezza. Ma qualcosa resta sempre “fuori”. Siamo “immersi nel mondo”, non abbiamo l'occhio di Dio, ed i nostri modelli rispecchiano frammenti del mondo. Dobbiamo dunque affrontare l'ultima domanda, quella “ontologica” sulla “realtà”.

 

 

Cosa c'è là fuori?

 

Attualmente le nostre conoscenze scientifiche costituiscono un arcipelago non troppo compatto ma ricco di collegamenti, ponti, connessioni. L'idea neo-positivista di un linguaggio universale della scienza fallisce davanti alla complessità dei fenomeni e dei livelli e dunque delle scelte teoriche possibili. Nella nostra riflessione abbiamo volutamente utilizzato le espressioni “mondo” e “ambiente” sempre in relazione alle scelte descrittive dell'osservatore, tralasciando il termine “realtà” ed ogni implicazione ontologica. Ma dal punto di vista dell'eredità culturale e cognitiva è difficile eludere la domanda “cosa c'è là fuori?”. Esiste una realtà organizzata secondo leggi precise, strutturata in livelli, indipendente dall'osservatore? La “mappa” che i nostri modelli riflettono a quale “territorio” corrisponde? Questa domanda esula dalle possibilità dell'artigianato metodologico della scienza. Non diversamente dall'artista, lo scienziato costruisce “teatri mobili della conoscenza, pensando con l'errore” (B. Antomarini), ma nulla possiamo dire del mondo al di fuori delle nostre rappresentazioni, anche se “qualcosa” che risponde alle nostre domande c'è. Diceva Robert Nozick che la realtà è quella cosa che fa “resistenza” ai miei desideri e, aggiungiamo noi, ai nostri modelli.


L'autore ha provato recentemente a porre il problema in termini di teoria dinamica dei giochi, considerando un modello come una domanda fatta alla natura. A parità di ambizioni esplicative, una teoria è migliore di un'altra se ottiene dalle risposte positive della natura un punteggio più alto. Ma avere le stesse “ambizioni esplicative” significa rivolgere domande sullo stesso range di fenomeni. Cambiando il range, e le domande,  otteniamo risposte diverse, non soltanto positive o negative, ma persino indeterminate! Un caso banale è quello di porre domande classiche ad un sistema quantistico, o newtoniane in un caso in cui sono in gioco forti curvature spazio-temporali. Superiamo così in modo naturale le vecchie categorie del verificazionismo neo-positivista o del falsificazionismo popperiano per arrivare ad una visione più dinamica del rapporto tra costruzioni teoriche e regno empirico. Le teorie scientifiche, proprio come le opere d'arte, sono scelte prospettiche sul mondo, che lo interpretano secondo strategie cognitive suggerite dal problema in esame, dal “soggetto” che vogliamo rappresentare. E' questa la “scienza come arte”, anti-ideologica, descritta dall'anarchico dell'epistemologia Paul Feyerabend .

 

 


Epistemologia “operativa”: Paul Karl Feyerabend (1924-1994).

 

 

In genere si obietta che la scienza è in qualche modo più “vera” dell'arte, perché permette “previsioni”. Si tratta di una questione controversa, perché gran parte dei sistemi che conosciamo in natura non consentono previsioni precise di tipo deterministico. E' molto più ampia la classe dei sistemi per i quali è necessario costruire una matematica dei vincoli e dei processi, che ci dice qualcosa sulle caratteristiche globali del fenomeno e del suo destino asintotico nel tempo, ma per il quale non è possibile “calcolare tutto”. I successi della società tecnologica derivano più da un'applicazione massiva degli strumenti statistici per prove ed errori che dalle teorie fondamentali della scienza, mirate più alla comprensione che alla previsione ed al controllo.


Siamo processi che studiano processi, immersi nel mondo costruiamo metodi d'indagine e linguaggi simbolici che ci permettono di cogliere qualcosa della complessità e della bellezza del mondo.Usando la non-commutatività della fisica quantistica come metafora, possiamo dire che fissiamo con le nostre scelte ciò che decidiamo di descrivere. Dal nostro fondamentale rapporto di entanglement con il mondo, ri-creiamo continuamente l'explicate order delle rappresentazioni per orientarci nell'esperienza.


 La tensione verso la bellezza e la comprensione è sicuramente molto più radicata della “verità” di ogni singola rappresentazione, perché il fondamento della conoscenza è il processo stesso della conoscenza nell'accoppiamento continuo tra la mente e il mondo. C'è un “linguaggio” che più di un altro è vicino alla “verità”? Lasciamo la risposta ad una bellissima frase dell'ultimo Feynman, di cui riportiamo anche l'ultima lavagna, nel giorno della morte ( 15.2.1988), dove è possibile leggere “What I cannot create , I do not understand” (ciò che non posso creare non posso comprendere).

 




” E andando avanti arriviamo a cose come il male, la bellezza, la speranza …


Quale dei due estremi è più vicino a Dio, se posso usare una metafora religiosa: la bellezza
e la speranza o le leggi fondamentali? Secondo me, è corretto affermare che ciò che dobbiamo cogliere è l'intera connessione strutturale delle cose, e che tutte le scienze, e non soltanto le scienze, ma ogni sforzo intellettuale deve tendere a vedere le connessioni tra le varie gerarchie, cioè connettere la bellezza alla storia, questa alla psicologia dell'uomo, questa a sua volta al funzionamento del cervello, il cervello all'impulso nervoso, l'impulso nervoso alla chimica, e così via, in su e in giù, in entrambi i sensi. E oggi non possiamo, né serve a nulla, far credere che si possa tracciare una linea precisa da un estremo all'altro di questi concetti, perché abbiamo appena cominciato a vedere che questa gerarchia è relativa.


E io credo che nessuno dei due estremi sia più vicino a Dio”.

 

Lectio Magistralis in occasione del  conferimento del Premio Veneri per la Scienza 2008

 

Letture:
Ignazio Licata, Osservando la Sfinge. La Realtà Virtuale della Fisica Quantistica, Di Renzo Editore, Roma, 2003
Ignazio Licata,
La Logica Aperta della Mente, Codice Edizioni, Torino,2008
Nelson Goodman,
Vedere e Costruire il mondo, Laterza, Bari, 2008
J. Gleick, Genio:
La vita e la scienza di Richard Feynman, Garzanti, Milano,1994
John L. Casti, Werner De Pauli, Gödel,
l'eccentrica vita di un genio, Cortina, Milano, 2001
Brunella Antomarini,
Pensare con L'errore, Codice Edizioni, Torino, 2007
Paul Feyerabend,
Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza , Feltrinelli, Milano, 1984
Paul Feyerabend,
La scienza come arte, Laterza, Bari, 1981
Paul Watzlawick,
La realtà inventata, Feltrinelli, Milano, 1988.

 

Fonte: scienzaeconoscenza.it 
05-12-2008
 



 

 

 

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