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La coscienza di Zeno
a cura di Alessandro Sansavini
Quest’opera è un noto romanzo di Italo Svevo in cui l’autore ha cercato di trattare attraverso il racconto della presunta “malattia” di Zeno Cosini, l’incertezza e la dubbia esistenza dell’essere umano. Possiamo definire “La coscienza di Zeno”, un romanzo quasi di tipo psicoanalitico, difatti l’opera si configura come la confessione autobiografica di Zeno Cosini, il protagonista, scritta su richiesta del suo psicanalista il Dottor. S (forse proprio Sigmund Freud), per curare la sua malattia. La pubblicazione dell’autobiografia sarebbe un ricatto dello stesso psicanalista, alla notizia che il suo paziente vuole abbandonare la terapia. L’intera narrazione si sviluppa per blocchi tematici attorno ad alcune esperienze fondamentali: il vizio del fumo, la morte del padre, il matrimonio e le scappatelle con l’amante, l’impresa commerciale dove subentra in aiuto del cognato Guido Speier ed infine una critica mossa del protagonista alla psicanalisi.

Il tema centrale del romanzo è “la malattia”;tema molto sentito in quegli anni (il romanzo viene pubblicato nel 1923), dove assistiamo alla rapida diffusione della psicanalisi freudiana e dove il dibattito sui confini tra malattia e sanità sono sempre più accesi. La malattia è per Zeno intesa come incapacità di sentirsi a proprio agio in molte situazioni, di non sentirsi al pari degli altri, di non raggiungere i propri obiettivi; per questo la “ricerca della salute”, è inizialmente motivo di vita.
Per gran parte del romanzo assistiamo all’incessante corsa di Zeno verso quella che crede essere la vera esistenza: la “sanità mentale”.

Zeno crede che ogni male derivi dalla malattia e che, se riuscirà a smettere di fumare tutto cambierà.
I suoi tentativi di astenersi dall’accendere una sigaretta, oltre che vani, sono lo sforzo inutile di essere un buon figlio, buon padre, raggiungere la posizione di buon marito e di ottimo uomo d’affari, che il protagonista ritiene vincenti. Ogni volta che prova a smettere di fumare, decide di fumare un’ultima sigaretta e di annotare la data di questa. Quest’atteggiamento diventa un rituale quasi ossessivo-compulsivo nella ricerca sfrenata di individuare la data decisiva per smettere di fumare, che verrà scritta a caratteri cubitali dappertutto, anche sulle pareti di camera.

La ricerca della svolta viene associata a date bizzarre (es. “il nono giorno del nono mese…”) sottolineate da un solenne U. S. (ultima sigaretta). Il continuo rimandare un evento, è tipico del nevrotico, che così, può gustare sempre di più l’ultima sigaretta.

Nel secondo capitolo si narra delle civili incomprensioni che dividono padre e figlio. Il rapporto con il padre è il primo, di una lunga serie di rapporti ambigui. Tra i due vi è una forte ostilità ed incomprensione, Zeno gioca a provocare il padre, il quale da parte sua non cerca di comprendere il figlio, anzi lo disprezza per il suo carattere troppo ironico. Zeno amplifica gli aspetti dal padre non apprezzati al punto di volerlo convincere di essere pazzo. Quando il padre si ammala di edema cerebrale e finisce a letto Zeno gli stà accanto e nell’ostacolare con la forza il suo desiderio di alzarsi viene colpito con un ultimo schiaffo, prima che sopraggiunga la morte.

Il dubbio sull’effettivo significato di quel gesto, diverrà un tratto indelebile nella memoria del protagonista.

Questo è un punto cruciale del libro. Il rapporto odio-amore verso un padre onnipotente, che rappresenta la vecchia morale borghese basata su un sistema patriarcale e che genera ambivalenza: il rifiuto del figlio a considerare il genitore come modello positivo e la sua incapacità ad una decisa ribellione. Questi due aspetti hanno conseguenze fallimentari sulla sua formazione, condannandolo ad un’eterna adolescenza. Non a caso il Dottor S. “diagnostica” a Zeno il cosiddetto complesso d’Edipo.

Ricordiamo che, il complesso d’Edipo, nasce dalla famosa tragedia greca di Sofocle, dove Edipo uccide Laio, senza sapere che è suo padre, ne sposa la moglie Giocasta, sua madre, e alla fine, venuti alla luce i reali rapporti di parentela, si punisce accecandosi. Da quest’antico dramma ha origine l’espressione “complesso edipico” che, da sempre, ha interessato gli psicoanalisti e pervaso i loro studi. Quest’espressione, spesso utilizzata in modo nebuloso o mal compresa, sta a significare, la reazione di gelosia e d’aggressività che il bambino si trova a dover affrontare nei confronti del genitore dello stesso sesso, che a suo avviso ne ostacola il raggiungimento dell’oggetto d’amore”.

L’odio e la disistima verso il padre di Zeno, spiegano la tendenza del figlio alla diversificazione e la sua vita inconcludente, bizzarra e instabile. Inoltre Zeno forse rivive da adulto il complesso edipico, proiettando nel rivale Guido Speier, il padre ed in Ada, la madre.

Dalla risoluzione del complesso d’Edipo dipendono per Freud: 1) la scelta dell'oggetto d'amore che, dopo la pubertà, compie degli investimenti che richiamano le identificazioni e le minacce inconsciamente avvertite all'epoca del complesso, Zeno sposa una donna che non ama; 2) l'accesso alla genitalità che non è garantita dalla semplice maturazione biologica, ma richiede l'organizzarsi di tutte le pulsioni intorno a quel "centro" che è il fallo; 3) la strutturazione della personalità e in particolare delle istanze del Super-io e dell'ideale dell'lo.

Nel terzo capitolo, si affronta il tema del matrimonio. Zeno incontra in borsa Giovanni Malfenti, furbo commerciante, che gli diviene maestro in affari, amico e suocero, nonché suo secondo padre. Giovanni ha una moglie e quattro figlie: Ada, la bella e la seria, Alberta, la più giovane fra le tre e la più vicina allo spirito di Zeno, Augusta, la strabica, ed Anna la più piccola, una bimba. Zeno viene fin da subito colpito da Ada e la corteggia sfrenatamente, ma è da subito semi-consapevole del fatto che a lui toccherà Augusta. Il matrimonio invece si mostrerà azzeccatissimo: Augusta sarà veramente la moglie ideale.

Questo è forse il capito più ricco d’ironia. Un’ironia a tratti cinica, intesa come tendenza a ridere e sdrammatizzare anche le situazioni più difficili e complesse. Svevo, in tal modo, fà emergere il suo giudizio, che non giunge mai all’esterno, perché non racconta di una realtà che opprime i personaggi, ma di un personaggio in difficoltà con la realtà in cui vive. Con la sua realtà soggettiva. Emblema di questa linea narrativa è la frase: “la vita non è bella ne brutta, ma è originale”. Che è una delle frasi chiave del romanzo, in cui l’autore esprime la sua idea che la vita sia un impasto di bene e di male, sostanzialmente mediocre, il risultato della casualità e dell’imprevedibilità delle vicende umane.

Ironico è anche il racconto delle scappatelle con l’amante. Carla, questo è il nome dell’amante, è una giovane del popolo che per continuare i suoi studi musicali, s'affida prima alla beneficenza d' Enrico Copler, amico di Zeno e poi a quella di Zeno stesso. La relazione non turba i rapporti con Augusta, anche perchè ovviamente non ne è a conoscenza, ma crea solo spazi e contraddizioni dentro la coscienza di Zeno, ma il modo in cui Zeno li supera ci dà ancora un esempio della sua natura, vale a dire della sua “malattia”.

Successivamente Guido Speier, suo precedente rivale, lo esorta ad aprire un’attività commerciale insieme. Zeno, messi da parte i vecchi complessi, si offre di aiutarlo nell'amministrazione. Ma Guido è veramente un incapace e l'azienda ha i giorni contati. Un affare sbagliato rende la situazione davvero insostenibile. Guido simula un primo tentativo di suicidio ed ottiene dalla moglie un prestito per risollevare le sorti della ditta. Ma gli errori da parte sua continuano, aggravati anche dalle perdite in Borsa, e così non gli resta che inscenare un secondo suicidio, ma questa volta per una serie di circostanze imprevedibili, gli va male e muore. Zeno si rivela a questo punto abilissimo: giocando in borsa riesce a dimezzare il debito del cognato e si conquista in parte la stima di Ada, che le sofferenze psichiche hanno precocemente invecchiato, si è pure ammalata del Morbo di Basedow. Ada inoltre è anche molto rammaricata perchè Zeno non è andato al funerale di Guido, infatti, Zeno non è giunto in tempo, perchè, a causa degli impegni in Borsa, è arrivato all'ultimo momento e, inconsapevolmente, ha anche sbagliato funerale. Ada lascia così Trieste e con i figli si reca in Argentina dove i due suoceri la stanno aspettando.

Attraverso queste complesse vicissitudini, arriviamo al rifiuto di Zeno Cosini nei confronti della psicoanalisi. In questa sede d’indagine, questo risulta essere il passo più importante.

Zeno pur avendo scritto il suo diario, espone il suo scetticismo nei confronti della psicanalisi e le sue aspre critiche nei confronti del Dottor. S. e comunica di avere abbandonato la cura perché ormai del tutto guarito. Addirittura è felice di andare dal dottor. Paoli, il suo medico, che gli diagnostica un comune diabete.

Sicuramente ci sarebbe da indagare da un punto di vista deontologico sulla professionalità di questo psicanalista che, come sappiamo, decide di pubblicare per ricatto l’autobiografia di Zeno. Personalmente ritengo che questa sia semplicemente una scelta di tipo narrativo.

L’opera come produzione artistica esprime una forte critica alla società e una messa in discussione dei punti di riferimento del periodo in cui fu scritta, il primo ventennio del ‘900. Una messa in discussione in cui le scoperte della teoria della Psicanalisi ebbero un forte peso.

L’ironica figura dello psicanalista non è certo casuale: Svevo conosce bene la psicoanalisi e Freud, del quale aveva tradotto un saggio sul sogno. E’ noto come avesse consigliato al cognato Bruno Veneziani di curarsi direttamente dal fondatore della psicoanalisi a Vienna. Condivideva la psicoanalisi come tecnica d’indagine, ma ne rifiutava l’utilizzo come terapia.

Svevo non apprezzò mai quella che Freud chiamò analisi terminabile, ma mostrò interesse per l’ analisi interminabile, vista come strumento conoscitivo utile per indagare più a fondo la realtà psichica e capace quindi di divenire un ottimo strumento narrativo.

A tal proposito risulta illuminante una lettera del 10 Dicembre 1927 a Valerio Jahier nella quale affermava:”Grande uomo quel nostro Freud, ma più per i romanzieri che per gli ammalati”.

La dialettica tra malattia e salute, tema fondamentale del romanzo, si completa in un gioco di antitesi: rispetto alla sorte di Guido, Zeno si sente sano e forte; nonostante ciò è consapevole di non poter rinunciare alla propria malattia che costituisce la sua identità profonda. Grazie ad essa ha attuato l’analisi interiore, rintracciando un innato impulso alla salute, eterna illusione umana: la vita è essa stessa una dolorosa malattia. Quindi Svevo nega la necessità di curare la malattia e, anzi, arriva a lodare la condizione del malato.

L’euforia di Zeno è sopraffatta dalla convinzione obbiettiva che la vita è malattia, che “la realtà è inquinata alle radici”, che può avvenire anche di peggio di quello che è avvenuto, che qualunque sforzo di darci salute è vano, che gli ordigni hanno violentato e distrutto la natura e le sue leggi e che solamente facendo esplodere il mondo è forse possibile ipotizzare, l’avvento di un mondo nuovo, migliore e sano.

L’unica possibile guarigione diviene una catastrofe inaudita che liberi il mondo dalla sua vera malattia: l’”uomo”.

A mio avviso, questo libro lascia aperto l’eterno dibattito sul confine tra malattia e sanità. Sicuramente oggi si ritiene che non vi sia un netto confine, uno stacco profondo tra salute e malattia, o perlomeno non così rigido come ad inizio secolo.

Anche nella persona definita “sana” esiste un’area di conflitto psichico. Chi è sano, può entrare in una “condizione patologica”, ad esempio a fronte di eventi particolarmente traumatici. Dunque la salute e la malattia acquistano un significato di relatività, cioè ci si può ammalare relativamente a eventi contingenti (che avvengono nel corso della vita). E’ altrettanto vero che è possibile in alcuni casi guarire con cure adeguate come un corretto percorso psicoterapeutico. Dunque normalità e la malattia non sono più concetti assoluti.

Il malato è colui che può possedere geneticamente una "propensione alla malattia", ma a essa si associano le variabili ambientali di tipo socio-culturali ed emotive; s’intrecciano quindi fattori biologici, più fattori ambientali.

Come sappiamo, il patologico non sempre è il disadattato, cioè colui che non è integrato nella società; infatti, talvolta, succede che alcuni individui “borderline” non siano del tutto esclusi da una vita sociale, ma vivano ai “margini di una vita normale”: vivono, cioè, al confine tra normalità e patologia.

La linea di separazione tra normalità e patologia oggi risulta meno rigida e sicuramente necessita di criteri diagnostici multidimensionali che tengano conto di tutti questi aspetti.

Italo Svevo
La coscienza di Zeno
2009, Giunti Demetra, Firenze
416 pagine
5,00 euro

titolo: La coscienza di Zeno
curatore: Alessandro Sansavini
argomento: Psicoanalisi
fonte: Vertici Network
data di pubblicazione: 25/01/2010


 

 

 

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