Le Neuroscienze stanno affermandosi sempre più come un riferimento fondamentale per capire come l’essere umano agisce e per individuare i gradi di libertà nello scegliere dove andare e cosa fare. Si discute se esiste davvero un libero arbitrio e da cosa è determinato: sembra che tutti i processi mentali siano basati su cellule e neuroni e che da loro dipenda ogni nostra azione. Il tutto avverrebbe inconsciamente, eppure alcuni scienziati sostengono che si può allenare il cervello, o per meglio dire la mente, a produrre stati di felicità.
Le tecniche di neuroimaging
Recenti studi e ricerche potrebbero essere solo i classici spunti dei media sui passi da compiere per migliorare la vita, mentre in realtà si tratta di resoconti scientifici prodotti da uno scienziato di chiara fama, che ha saputo integrare campi diversi come l’approccio metodologico della ricerca scientifica e il mondo emotivo esplorato dagli psicologi. La vita emotiva, di per sé poco descrivibile, viene definita da questi studi a livello delle strutture cerebrali, identificando con le tecniche di neuroimaging(Risonanza Magnetica Funzionale) quali aree del cervello sono attive nei vari atteggiamenti e nei comportamenti umani.
D’altra parte le ricerche dimostrano, al di là di ogni ragionevole dubbio, la plasticità del cervello, capace di produrre neuroni che modificano le strutture dedicate alle diverse funzioni o addirittura ad integrare quelle mancanti (effetto sostitutivo ed integrativo di carenze neurologiche). Risultati interessanti in questo campo si devono al neuroscienziato
Richard J. Davidson, docente presso l’Università del Wisconsin, che ha pubblicato in italiano con Sharon Begley La vita emotiva del cervello (Ponte alle Grazie ed.), ha fornito in trent’anni di laboratorio contributi che oggi permettono, attraverso una maggiore conoscenza del funzionamento del cervello, di collegare mente e corpo in modi innovativi e sorprendenti, che possono spiegare tutta una serie di fenomeni mentali e che consentono di intervenire per modificare uno stato indesiderato od anche di poter utilizzare meglio il potenziale umano.
Secondo Davidson la ricerca della felicità, dunque, è una via che apre le porte a considerazioni importanti anche per i ricercatori nel campo della parapsicologia, per spiegare capacità che devono per forza avere dei correlati neurofisiologici che la mappatura dinamica del cervello può indicare, facilitando l’allenamento mentale.
Richard Davidson era già noto per gli studi che aveva svolto con i meditanti esperti, a seguito di incontri con il Dalai Lama, insieme con Daniel Goleman (autore di Intelligenza Emotiva) e altri scienziati che cercavano di identificare gli stati di coscienza connessi alla meditazione in rapporto alle parti del cervello attivate.
Già in Emozioni Distruttive, Goleman aveva illustrato le esperienze con la risonanza magnetica funzionale, attuata con le tecniche dineuroimaging, dove venivano rilevate le parti attivate del cervello. Alcuni meditanti restavano ore nel tunnel della macchina, fermi, immobili e concentrati di volta in volta su stati diversi di meditazione (consapevolezza, stimolo fisso, compassione, ecc.) permettendo di stabilire esattamente le parti del cervello attivate nei vari stati di coscienza sperimentati.
Cervello, emozioni e stati di coscienza
Richard Davidson aveva identificato che le emozioni positive si trovavano nella parte neocorticale frontale e prefrontale del cervello sinistro, mentre le emozioni distruttive risiedevano nel cervello destro. Il che suggerisce la possibilità di allenare la coscienza a perseguire stati positivi.
Dopo trent’anni di ricerche le tecniche di neuroimaging hanno consentito a Davidson di fare molte scoperte e di indicare con esattezza le parti del cervello associate a determinati stati di coscienza, alle emozioni, ai pensieri, ai sentimenti, ai comportamenti, identificando precise correlazioni interessanti fra le componenti cognitive e quelle sensoriali.
Gli studi precedenti posizionavano la razionalità nella parte sinistra del cervello, assegnando l’emotività alla zona limbica e comunque più riferita all’emisfero destro. Davidson ha dimostrato, al contrario, che la corteccia prefrontale interviene sulle emozioni e ha dunque un ruolo più importante di quanto immaginato sinora, nel vissuto emotivo e nelle risposte emotive alle situazioni e agli stimoli ricevuti. Lo studioso ha scelto di seguire la via della ricerca scientifica, pur avendo dentro di sé un forte interesse per le emozioni, riconoscendo che, per loro natura, esse sono meno oggettivabili di quanto non lo siano le funzioni e le attività neurologiche, da cui ha poi preso lo spunto per ritornare sulla ricerca e sperimentazione della vita emotiva. Egli è riuscito quindi nell’intento di avvicinare i due mondi, basandosi sempre e comunque sulla metodologia scientifica e sul funzionamento del cervello con dati incontrovertibili e dimostrando poi come le due realtà siano interconnesse e reciprocamente influenzanti.
I sei stati emozionali individuati da Davidson
Attraverso le sue ricerche, Davidson è pervenuto a definire i sei stati emozionali di base, modello suffragato dalle ricerche e dalle rilevazioni della risonanza magnetica funzionale e dell’EEG, sviluppando argomenti che non solo conducono alle possibilità di vivere più felicemente, bensì anche di speculare sulle ipotesi alla base dell’ESP (Percezione Extra Sensoriale). “Tutto quello che ha a che fare con il comportamento, i sentimenti e i modi di pensare ha origine nel cervello”, sostiene Davidson, evidenziando come qualsiasi classificazione valida debba basarsi anche sulle funzioni cerebrali.
La moderna ricerca nel campo delle neuroscienze consente di evidenziare sei stili emozionali:
1) resilienza (lentezza o rapidità di ripresa dalle avversità);
2) prospettiva (capacità di mantenere nel tempo emozioni positive);
3) intuito sociale (empatia);
4) autoconsapevolezza (percezione di sensazioni fisiche connesse alle emozioni provate);
5) sensibilità al contesto (modulazione delle reazioni emotive contestualizzate);
6) attenzione (intensità e chiarezza di focalizzazione su un certo oggetto).
Davidson sostiene che le sei dimensioni da lui definite rivelano proprietà e pattern del cervello: ciò significa che sensazioni, pensieri, sentimenti, emozioni tipici degli stili emozionali identificati sono sempre correlati a specifiche attività di date parti del cervello, fenomeni confermati dalle sue ricerche, integrate con quelle di altri scienziati. Da che cosa dipendono atteggiamenti e comportamenti contrastanti, quali ad esempio sentirsi spiazziati o disinvolti, frustrati o motivati, intuitivi o sconcertati, consapevoli o incoscienti, attenti o distratti, sintonizzati o distonici? Oggi sappiamo che dipendono dal cervello e dalla mente, vale a dire dalle parti attivate di momento in momento o dal livello di connessioni fra le varie parti del cervello ormai codificate e sempre più conosciute dalla ricerca scientifica.
La domanda cruciale se il cervello sia fisso o plastico ha ora una risposta certa per merito della tecnica del neuroimaging, che consente una mappatura precisa delle parti attivate e che si mostrano ben differenti in base all’esercizio: il violinista, il pianista, il tassista, sviluppano maggiori connessioni nelle aree collegate al tipo di attività svolta.
Questi risultati sono importanti anche per la ricerca sulle potenzialità della mente, tra cui l’ESP, perché con l’allenamento continuo o con tecniche di utilizzo del cervello si può incrementare il correlato neurofisiologico alle esperienze extrasensoriali (o così possiamo incominciare a pensare).
Le prove di tali affermazioni vengono da esperienze di laboratorio ben documentate e da ricerche universalmente riconosciute come quelle dello psicologo Paul Ekman sulle espressioni facciali (che hanno ispirato la serie Tv Lie to me), oppure da quelle di Duchenne che ha scoperto come il sorriso spontaneo (rispetto a quello stereotipato) produca benefici effetti sulla vita reale.
In sostanza Davidson sostiene, e lo dimostra, che la corteccia prefrontale governa le emozioni (mentre prima si pensava che governasse solo la logica) e in modo diverso da individuo a individuo.
La seconda osservazione che la ricerca parapsicologica può fare è che quando un soggetto sensitivo entra in un particolare stato modificato di coscienza per realizzare una capacità ESP, si attivano determinate parti del cervello o specifiche connessioni che abilitano sensazioni che vanno al di là dei cinque sensi. Ne consegue che rilevando tali attivazioni si può allenare il cervello a riprodurre stati modificati di coscienza.
In ogni caso è certo che, durante un esperimento di telepatia, chiaroveggenza, precognizione o psicometria, nel cervello debba avvenire una modificazione e se potessimo individuare con prove scientifiche quali parti sono coinvolte, potremmo identificare i modi per ripetere sistematicamente tali abilità.
Se Davidson avesse fatto esperimenti di laboratorio in questa direzione, oggi ne sapremmo sicuramente di più sui processi ESP.
Comunque ci è andato vicino, perché quando è uscito allo scoperto (parole sue) ha iniziato a studiare le tecniche di meditazione che influenzano l’apparato cerebrale, riscontrando modificazioni certe e attivazioni specifiche, che accompagnano stati meditativi diversi e influenzano positivamente diverse aree del cervello, influenzando gli stili emozionali sottostanti. In pratica ha potuto studiare le emozioni dal punto di vista delle neuroscienze, scoprendo che appunto il cervello può “cambiare” per effetto di pratiche o di esperienze di vita. Ad esempio, alcune parti del cervello non più funzionanti possono essere integrate da altre parti che ne assorbono le funzioni. L’attivazione o il silenziamento di alcune zone cerebrali possono modificarsi per effetto di un dato modo di vivere o di un cambiamento di atteggiamento e di comportamento: ciò significa che ci si può allenare a far funzionare meglio il cervello o anche a ridurre e attenuare le emozioni distruttive e sviluppare le emozioni positive.
Gli stili emozionali possono influenzare la salute, costituendo una “medicina comportamentale” ricca di emozioni positive, con impatto sul sistema immunitario e con un positivo raccordo tra “cuore” e cervello. Il potere della mente influisce così anche sulle disfunzioni cerebrali.
Il cervello può modificarsi attraverso una forte esperienza sensoriale (esterno) od anche attraverso pensieri e intenzioni (interno), oltreché per mezzo di una migliore integrazione fra diverse aree funzionali, così come grazie a tecniche di visualizzazione. Il che ci porta ad una terza osservazione che riguarda la parapsicologia: un soggetto sensitivo (o forse lo possiamo tutti) può incrementare le prestazioni ESP grazie a traumi (spesso le capacità psichiche si sviluppano dopo un trauma), stati di grazia (momenti di illuminazione), situazioni plop (d’improvviso si apre una visione diversa, allargata, ultrasensibile), o ancora con visualizzazioni (ampliamento del quadro di riferimento mentale, sensibilizzazione a immagini lucide).
Davidson ha dimostrato in laboratorio che con la meditazione (o pratiche simili) si realizzano nuovi modelli di pensiero che modificano il cervello, aiutano a superare problemi, portano a scoprire la gioia. La meditazione può aiutare a riequilibrare mente e corpo attraverso una maggiore consapevolezza di sé, lo sviluppo di emozioni positive, un migliore autocontrollo, performance mentali più efficaci (come già rilevato da Goleman in Intelligenza Emotiva).
Per la parapsicologia il significato del lavoro di Davidson è eccezionale, perché apre la via a considerare che nell’ESP il cervello interviene e si può aiutare i sensitivi a farlo intervenire di più e meglio. Inoltre conferma come certi stati di coscienza favoriscano sia l’ESP sia una vita migliore e come tra i due aspetti ci possa essere una buona correlazione. E inoltre indica una strada maestra: se si vuole dare nobiltà alla ricerca parapsicologica bisogna adottare tecniche e metodologie scientifiche che comprovino eventi mentali e cerebrali che caratterizzano le percezioni extrasensoriali.
Per saperne di più:
Richard Davidson su YouTube (in inglese): https://www.youtube.com/watch?v=7tRdDqXgsJ0
Daniel Goleman, sull’intelligenza emotiva (in inglese): https://www.youtube.com/watch?v=NeJ3FF1yFyc