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Magia sessuale e paradigma esoterico di Massimo Introvigne

 

MAGIA SESSUALE E PARADIGMA ESOTERICO

di Massimo Introvigne

 

Nel 1990, nel mio “Il cappello del mago - I nuovi movimenti magici dallo spiritismo al satanismo” (SugarCo, Milano), avanzavo tra l’altro l’ipotesi che il "segreto" soggiacente a molti (non tutti) gli ordini iniziatici che si occupano di "alchimia interna" consistesse nell’idea secondo cui non tutti gli uomini hanno un’anima immortale: solo pochi iniziati sono in grado di "costruirsi" un’anima attraverso determinate tecniche. Per generare questo "corpo di luce" o "bambino interiore" si utilizza come "materia prima" la stessa necessaria per la generazione di un figlio: il seme maschile, che non è in questo caso "disperso" all’esterno, ma (si dice) fatto "rifluire" all’interno: o attraverso tecniche che fermano l’orgasmo prima dell’eiaculazione, ovvero attraverso la successiva ingestione del seme. L’ipotesi lasciava aperti due problemi, appena accennati nel testo: uno storico e uno metodologico. Dal punto di vista storico, era ovvio che le tecniche ritrovate in ordini iniziatici occidentali dei nostri giorni fossero estremamente simili ad altre usate in Oriente, dalla Cina all’India, fino almeno dal Medioevo. Il testo citava, al proposito, la classica opera di Mircea Eliade (1907-1986) “Occultismo, stregoneria e mode culturali. Saggi di religioni comparate” (trad. it., Sansoni, Firenze 1982), un capitolo della quale era dedicato all’equivalenza simbolica, in correnti dello gnosticismo e del tantrismo, fra la luce il seme maschile e a un’analisi delle tecniche di ingestione. Tuttavia, rimaneva aperto - con altri - il quesito se e in che misura fossero tuttora attivi in Asia ordini iniziatici che si sarebbero potuti utilmente paragonare a quelli studiati in Occidente. Dal punto di vista metodologico, il testo costituiva già di per sé una risposta a un dilemma classico nello studio di ordini iniziatici per definizione segreti: come è possibile allo studioso accertarne le caratteristiche, dal momento che sono appunto segrete? Nell’ipotesi in cui le abbia accertate, come può lo studioso divulgarle senza venire meno alla deontologia delle associazioni professionali che si occupano di sociologia e storia delle religioni, risolutamente contrarie all’osservazione partecipante "coperta" e al tradire la fiducia di chi è stato osservato? In realtà, l’esperienza de Il cappello del mago mostrava, in primo luogo, che molti segreti in questo campo sono tali solo di nome, dal momento che le biblioteche e gli archivi abbondano di materiali che permettono di ricostruire la maggior parte dei rituali, se solo si abbia, oltre all’indispensabile pazienza, un minimo di esperienza sul come e dove cercare. E, in secondo luogo, che lo studioso che abbia svolto il suo "compito a casa" in archivio e in biblioteca e si presenti a intervistare membri di ordini iniziatici contemporanei conoscendo già quanto si ricava da fonti scritte, riesce nella maggior parte dei casi ad aprire un dialogo senza vincolo di segreto (anche perché gli intervistati sono spesso a loro volta interessati a confrontare quanto deriva dalla loro esperienza con quanto il ricercatore ha ricavato dagli archivi, non necessariamente a loro già noto, dando luogo così a quello che Pierre Bourdieu chiamerebbe uno scambio di capitale simbolico).

 

Negli ultimi anni è emersa una nuova generazione di studiosi del tantrismo - categoria peraltro contestata da alcuni come mera etichetta creata da orientalisti occidentali per unificare in un’unica categoria fenomeni disparati e contraddittori -, i quali criticano autori come Eliade o come Sir John Woodroffe (che scriveva sotto lo pseudonimo di Arthur Avalon, 1865-1936) accusandoli di avere ricostruito il tantrismo sulla base o semplicemente di testi antichi ovvero di contatti con maestri che rappresentano una tradizione "colta" tipica delle classi (e caste) alte in India e in altri paesi, trascurando la ricca esperienza del tantrismo popolare. Un’opera in tal senso esemplare è quella del 1996 di David Gordon White, “The Alchemical Body. Siddha Traditions in Medieval India” (University of Chicago Press, Chicago), che - nonostante il titolo - non si limita a rintracciare le radici medievali di certe tecniche, ma ne esamina la perdurante presenza nell’India contemporanea. White fa cenno sia a un fine (l’immortalità), sia a tecniche (la ritenzione ovvero l’assimilazione del seme) assai simili a quelle praticate in ordini iniziatici occidentali, benché - per quanto riguarda, in particolare, l’assimilazione - descriva pure una tecnica in uso in India (non, invece, in Occidente) che (riprendendo un’espressione di Wendy Doniger O’Flaherty, che ne aveva accennato nel suo “Women, Androgines, and Other Mythical Beasts”, (University of Chicago Press, Chicago 1980, p. 38) paragona alla "ricarica di una penna stilografica" e che consiste nell’imparare a "riaspirare" il seme emesso tramite lo stesso organo genitale maschile, il che richiede anni di faticoso addestramento. Dopo altri studi della stessa impostazione (in relazione ai quali è almeno necessario citare qui l’attività all’Università di Chicago di Edward C. Dimock, Jr., 1929-2001, e dei suoi allievi), il panorama è ora arricchito da due volumi di Hugh B. Urban, docente presso la Ohio State University, entrambi pubblicati nel 2001 dalla University of Chicago Press: il primo, “The Economics of Ecstasy. Tantra, Secrecy, and Power in Colonial Bengal”, ricostruisce la storia e le dottrine del movimento religioso bengalese dei Kartabhaja ("Adoratori del Maestro"), con importanti considerazioni metodologiche; il secondo, “Songs of Ecstasy. Tantric and Devotional Songs from Colonial Bengal”, è una raccolta di fonti primarie sullo stesso tema, che consistono principalmente in inni e cantici.

 

Il movimento dei Kartabhaja - del cui fondatore, Aulcand (?-1779) si sa pochissimo - appartiene al filone Gaudiya Vaisnava, che origina in Bengala da Krishna Mahaprabhu Chaitanya (1486-1533), la cui derivazione più nota in Occidente è la società Gaudiya Math, fondata sulla scia di Thakura Bhaktivinoda (1838-1914) dal figlio di quest’ultimo Bhaktisiddhanta Sarasvati (1874-1937), con cui a sua volta entra in contatto nel 1920 Abhay Charan De (1896-1977) - in seguito iniziato al samnyasa (ordine di rinuncia) con il nome di Bhaktivedanta Svami, e generalmente più conosciuto con il titolo di Srila Prabhupada ("Colui ai cui piedi siedono i maestri") - che è alle origini dei moderni Hare Krishna. In realtà, secondo Urban, quello di Bhaktivinoda e Bhaktisiddhanta è un movimento puritano e reazionario che nasce in ambito Gaudiya Vaisnava, anche per influsso della mentalità vittoriana importata dagli inglesi, come reazione contro l’ala numericamente più consistente nel XIX secolo, quella appunto dei Kartabhaja, che godeva di pessima stampa per le sue "scandalose" attività di magia sessuale e per il suo reclutamento sociale nei ceti e nelle caste più basse sia tra gli inglesi (e gli orientalisti ottocenteschi, i quali si rifiutavano di interessarsi a questi movimenti popolari, benché contassero milioni di seguaci), sia fra gli esponenti di un induismo "riformato" come i membri del Brahmo Samaj, che era stato fondato nel 1828 da Raja Ram Mohan Roy (1772-1833). La società Gaudiya Math, secondo Urban, mirava appunto a rendere "presentabile" la tradizione Gaudiya Vaisnava depurandola dagli elementi tantrici e adottando in materia di sessualità uno stile di vita puritano, che del resto si ritrova tra gli Hare Krishna. Quanto ai Kartabhaja, la loro fisionomia deriva ampiamente dal discepolo di Aulcand chiamato Ramsaran Pal, dalla moglie (di famiglia, a differenza della maggioranza dei dirigenti Kartabhaja, particolarmente benestante) Sarasvati Devi ("Karti Ma", a proposito della quale - come del marito – l’incertezza regna sulle date di nascita e di morte e che operano comunque tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo), e dal loro figlio Dulalcand (?-1833), dopo la morte del quale si generano divisioni e scismi che segnano ancora oggi la comunità, divisa in varie branche rivali. Dal punto di vista essoterico i Kartabhaja, che incorporano elementi sufi accanto a quelli di origine Gaudiya Vaisnava, si presentano come un movimento devozionale che insiste sulla venerazione del Karta, il "maestro", reincarnazione di Chaitanya e quindi di Krishna, della sua consorte e dei suoi discepoli diretti, cui sono attribuiti poteri miracolosi. Ancora oggi il Ghoshpara Mela, il festival annuale nel villaggio bengalese di Ghoshpara (sede del principale pretendente al titolo di Karta), attira migliaia di persone alla ricerca di miracoli (attribuiti in particolare all’intercessione della prima Karti Ma), per quanto sia attaccato dalla stampa indiana per la sua atmosfera dove si mescolano contro ogni convenzione persone di ogni casta, per il suo carattere trasgressivo (che ricorda a Urban i carnevali medioevali europei) e per una certa spudorata commercializzazione. Dietro il livello essoterico ce n’è però uno esoterico, consacrato alle pratiche tantriche di ritenzione e di assimilazione del seme. Se queste pratiche sono nella sostanza quelle descritte da White ("ricarica della penna stilografica" inclusa; qualche tratto meno comune appare semmai tra i Sahebdhani, che costituiscono secondo alcuni uno scisma del movimento di Aulcand, secondo altri un gruppo indipendente influenzato dalle stesse fonti), originali dei Kartabhaja sono la loro disponibilità a iniziare uomini e donne di ogni casta, con una prevalenza di persone umili, e il loro uso di metafore tratte dal linguaggio commerciale della Compagnia delle Indie, per la quale molti adepti lavoravano come manovali o facchini. Come tutti i segreti esoterici, anche quello dei Kartabhaja - che pure praticano la dissimulazione - diventa ben presto generalmente noto nel corso del XIX secolo, e provoca una reazione violenta sia del potere coloniale inglese sia dell’establishment religioso indù del Bengala, con la conseguenza di un declino numerico del movimento (che probabilmente, verso la metà dell’Ottocento, era invece maggioritario all’interno della tradizione Gaudiya Vaisnava) e della riduzione della sua branca principale di Ghoshpara a una realtà puramente devozionale nel XX secolo. Altre branche conservano invece la dimensione esoterica, anche se alcune - risolvendo così una discussione che turba il tantrismo fin dalle sue origini - insegnano che le pratiche di magia sessuale sono lecite solo fra coniugi, mentre altre mantengono una tradizione ottocentesca che raccomanda invece (perché elementi affettivi non si mescolino al puro perseguimento della tecnica) di "praticare" al di fuori del matrimonio e con partner occasionali (purché scelti tra iniziati di pari grado).

 

Urban dedica, come si è accennato, molto spazio alle questioni metodologiche e denuncia in esplicito l’ambizione di affrontare problemi rilevanti per lo studio dell’esoterismo in genere. Discutendo tesi di Antoine Faivre e di altri, Urban si concentra sul movimento esoterico come movimento detentore di segreti. In questo senso, il "paradigma esoterico" cui fa cenno PierLuigi Zoccatelli (cfr. il suo "Il paradigma esoterico e un modello di applicazione. Note sul movimento gnostico di Samael Aun Weor", La Critica Sociologica, nr. 135, autunno 2000 [ottobre-dicembre], pp. 33-49) non fa riferimento, secondo Urban, a un contenuto (che per Zoccatelli è di tipo neo-gnostico) ma a un’economia simbolica (di qui il titolo del suo saggio, con evidente allusione alla sociologia di Bourdieu). Influenzato da Umberto Eco (il cui testo “I limiti dell’interpretazione”, Bompiani, Milano 1990, è tra i più citati da Urban), lo studioso americano descrive i movimenti esoterici come quelli in cui il segreto rimanda a un altro segreto e così via quasi all’infinito, così che - più che ai contenuti - lo studioso dovrebbe essere interessato alla modalità di funzionamento del segreto (che negli ordini iniziatici opererebbe in una sorta di "mercato nero dell’economia simbolica"). Si risolverebbe così anche il dilemma deontologico tipico degli studi scientifici su movimenti "segreti", dal momento che lo studioso - senza violare il diritto alla riservatezza degli intervistati, né farsi scoraggiare dalle loro eventuali reticenze - potrebbe appunto concentrare la sua attenzione non su "che cosa dice" il segreto, ma su "come funziona".

 

Peraltro, Urban si preoccupa di dissipare l’impressione - inevitabile per chi di Eco non abbia letto solo I limiti dell’interpretazione ma anche “Il pendolo di Foucault” (Bompiani, Milano 1988) - secondo cui chi ragiona in questo modo pensa che in realtà non vi sia nessun segreto, e tutto si riduca agli inganni di profittatori o ciarlatani. "Non voglio dire - scrive lo studioso americano - che lo studio del contenuto del segreto sia la ricerca futile di un’entità inesistente (dopo tutto, alcuni segreti sono molto reali e molto importanti). Voglio solo affermare che in molti casi, se non nella maggioranza, è più utile spostare l’attenzione ed esaminare il segreto nei termini delle sue forme e tattiche, come specifica strategia discorsiva e meccanismo per la produzione di valore simbolico" (The Economics of Ecstasy, p. 212). Si può tuttavia notare che la stessa opera di Urban smentisce questa teorica ricostruzione del "paradigma esoterico" in termini puramente formali. Sul contenuto dei segreti dei Kartabhaja lo studioso americano ha molto da dire, ed è il contenuto che permette di qualificare i Kartabhaja come un ordine esoterico: se, per esempio, la forma delle loro oscure metafore mercantili nascondesse un segreto politico di rivolta anti-coloniale piuttosto che un segreto tantrico, Urban parlerebbe ancora di esoterismo? Quanto ai dilemmi deontologici del ricercatore, la strategia di ricerca più sopra menzionata a proposito de Il cappello del mago offre una possibile alternativa, che forse anche Urban ha in qualche modo implicitamente praticato in India. Questo non significa che l’indagine sull’aspetto formale e sui modi di funzionamento del segreto non sia indispensabile allo studio dell’esoterismo: semplicemente, non lo esaurisce né lo definisce.

 

Con queste precisazioni, i lavori di Urban costituiscono una preziosa integrazione al corpus di conoscenze relative al "tantrismo" (comunque lo si intenda), agli ordini iniziatici moderni in genere e a quelli che praticano tecniche di magia sessuale in specie. Lo studio sul campo di gruppi contemporanei appare al riguardo, come sostiene Urban, indispensabile, se si vuole evitare che lo studio di movimenti fondati sul segreto rimanga "generale in modo deludente, universalistico, e ampiamente separato dal contesto sociale e storico".

 

fonte:mikeplato.myblog.it



 

 

 

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