Il principio fisico che permetterebbe il funzionamento di questa macchina sembrerebbe riassumersi nella teoria secondo cui ogni essere vivente lascia dietro di sé nel tempo una traccia costituita da una non ben identificata forma di energia. Tali tracce visive e sonore rimarrebbero "impresse" nell'ambiente nel quale si manifestarono.
Ernetti raccontò, in una delle sue prime e uniche esternazioni sulla presunta invenzione, di aver assistito, attraverso il cronovisore, alla rappresentazione del Tieste nel 170 a.C., una tragedia perduta del poeta latino Ennio e di aver completato l'opera trascrivendo le parti mancanti. Ernetti affermava anche di aver udito le voci di Benito Mussolini e di Napoleone Bonaparte e di aver assistito alla passione e crocifissione di Gesù Cristo, di cui avrebbe realizzato una foto (tale immagine è stata contestata in quanto identificata con la foto di un crocifisso ligneo dell'artista Cullot Valera conservata a Collevalenza, Todi).
L'esistenza della macchina tuttavia non è mai stata dimostrata e padre Ernetti, che per il resto della propria vita si chiuse in un riserbo assoluto su questo argomento.
Più recentemente il teologo ed esperto di "transcomunicazione strumentale" padre François Brune ha riportato dopo molti anni alle cronache l'avveniristico ed ipotetico cronovisore, con un suo libro pubblicato nel 2002. Lo scrittore francese sostiene infatti che dell'invenzione fu immediatamente messo al corrente il Vaticano nella persona stessa del papa di allora. Da qui si è diffusa una leggenda urbana, popolare tra i teorici dei complotti, che vuole la macchina trasportata proprio nella cittadella sacra, dove i suoi segreti sarebbero ancora oggi custoditi.
Il racconto di Brune della vicenda che vede padre Ernetti come principale protagonista è scritto come una sorta di giallo, nel quale l'autore corre in lungo e in largo per l'Europa interrogando testimoni alla ricerca di nuovi indizi su questa misteriosa macchina del tempo, a partire proprio dai lunghi colloqui avuti dallo stesso autore con Padre Ernetti, che aveva conosciuto in tempi trascorsi a Venezia, quando l'autore dell'inchiesta non era stato ancora ordinato prete. Nemmeno Brune, tuttavia, vide mai la macchina di Ernetti.